Secondo l’ultimo rapporto sullo Stato delle Foreste d’Europa, presentato lo scorso anno a Oslo alla Conferenza Ministeriale sul tema, l’Europa geografica è la regione più ricca di boschi al mondo, con circa 1,02 miliardi di ettari e una crescita di 800mila ettari ogni anno: questo sviluppo forestale contribuisce ad assorbire il 10% delle emissioni europee di anidride carbonica. A livello mondiale, in base al rapporto 2011 della FAO, la superficie forestale globale è valutata in 4.033 milioni di ettari, pari al 31% delle terre emerse. Come si vede, la regione europea ospita un quarto delle foreste mondiali.
E l’Italia? La superficie coperta da boschi è circa 10,5 milioni di ettari, pari al 34,74% del territorio nazionale; e, anche dopo l’Anno internazionale delle Foreste 2011, questi ecosistemi stanno ricevendo maggior interesse sul piano gestionale, economico e culturale. L’occasione per parlare delle nostre foreste con Carlo Andreis, del Dipartimento di Bioscienze, Università degli Studi di Milano, è stata la presentazione del “V Rapporto sullo stato delle foreste lombarde”, realizzato dalla DG Sistemi verdi e Paesaggio della Regione Lombardia in collaborazione con l’Ersaf (Ente regionale per i servizi all’agricoltura e alle foreste).
Andreis ci segnala due modi, complementari, di vedere la foresta, di affrontare il bosco: «C’è la tipologia forestale, affrontata appunto dai forestali, che è tesa all’utilizzo del bosco, a riconoscere ciò che il bosco ci può dare, che tipo di risorsa è e come può essere organizzata per le finalità di chi la gestisce. Quando invece parliamo di approccio fitosociologico intendiamo la conoscenza della sostanza di quello che è il bosco: da quali specie è composto, che storia ha avuto, da dove arriva il materiale genetico che l’ha costituito, i suoi rapporti con l’ambiente che lo circonda, l’ecologia delle diverse specie. Attorno alla realtà del bosco ci sono poi altre funzioni: come quelle dei patologi vegetali, che valutano lo stato di salute del bosco stesso».
Gli studiosi come Andreis fanno, in pratica, l’ecologia forestale: come sono fatti i boschi, quale materiale biologico li costituisce, su che suolo stanno e sotto quale clima; studiano le compagini che si sono formate, come sono strutturate.
«Questo è il nostro compito. Da questo derivano suggerimenti che possiamo dare ai forestali per orientare adeguatamente i loro interventi e ragionare insieme sulle conseguenze di certe azioni». Da questo punto di vista, l’opinione di Andreis sulla situazione italiana è improntata alla positività: «Mi sembra una situazione buona: non siamo in una condizione di sovrasfruttamento delle arre boschive». Aggiunge che la Lombardia non ha mai avuto tanti boschi come adesso e ciò vale anche per la maggior parte delle altre Regioni. «C’è già qualcuno che dice e che stiamo esagerando: non nel senso che si debbano ridurre o tagliare i boschi ma che vadano gestiti meglio. È facile che venga chiamato bosco ogni terreno abbandonato che abbia degli alberi; per un vero bosco ci vuol ben altro: ci vuol tempo e attenzione perché si costituisca tutta la compagine forestale, comprese le specie del sottobosco, e perché tutte interagiscano nel modo giusto».
I dati presentati dall’Ersaf sono comunque significativi. Per la sola Lombardia, che è la terza realtà nazionale per aree forestali e boscate, si parla di 620.719 ettari raggiunti a fine 2011; la collaborazione con le istituzioni del territorio, i rappresentanti della filiera bosco-legno-energia e le altre realtà che hanno consentito di realizzare 264,79 ettari di nuovi boschi grazie a iniziative mirate, fondi comunitari del Programma di sviluppo rurale, risorse regionali e ricavi dalle compensazioni. In totale, le foreste lombarde rappresentano un serbatoio di 103,6 milioni di tonnellate di CO2 e garantiscono un assorbimento annuo di 3.
Ma dobbiamo parlare di boschi o di foreste? «Foreste primigenie non ne abbiamo, quindi il termine più corretto è proprio bosco: abbiamo comunque molti boschi antichi, gestiti in modi diversi, che vanno verso la struttura della foresta».
Qualcosa si può dire anche per il verde nelle nostre città. Qui la funzione delle piante è importante soprattutto come filtro degli inquinanti atmosferici, per quella azione delle foglie che trattengono il particolato e riducono il pulviscolo; «è difficile comunque formulare un giudizio globale: la situazione varia da città a città e nelle metropoli da zona a zona».
C’è ancora una funzione svolta in campo fitosociologico che Andreis tiene a sottolineare ed è quella culturale, che va dal riconoscimento dei vari modelli boschivi all’incentivazione delle azioni per la salvaguardia del patrimonio biogenetico. Tra queste azioni ce ne sono di sofisticate, come la conservazione dei semi; ma ce ne sono anche più semplici, a portata di tutti: «basterebbe rispettare il bosco; dove si sa che c’è la tal specie rara gli specialisti possono intervenire per garantirne la sopravvivenza; ci sono elenchi delle specie protette e l’azione è quindi possibile». Non ci sono però particolari allarmi in proposito. E poi, osserva realisticamente Andreis, «le specie effettivamente a rischio sono rare, sono poco note e la maggior parte della gente non sa neppure dove andarle a trovare».
Per quanto riguarda i comportamenti degli italiani verso gli ambineti boschivi, Andreis è ottimista: «L’atteggiamento è cambiato e in generale il rispetto verso i boschi sta crescendo. C’è ancora qualcuno che si comporta in modo “barbaro” ma mediamente c’è attenzione».
(Michele Orioli)