La struttura interna della Terra si compone principalmente di tre involucri concentrici: nucleo, mantello e crosta; dove il nucleo rappresenta il nocciolo più interno e la crosta lo strato più esterno, costellato da montagne e oceani. Questa suddivisione si basa sulle diverse caratteristiche chimico-fisiche che compongono i tre strati: il nucleo denso e ricco di ferro, il mantello per gran parte fluido e la crosta rigida. Quest’ultima, assieme alla parte superiore e rigida del mantello, costituisce la litosfera e si rompe in diverse placche tettoniche sotto l’azione dei moti convettivi mantellici, causando terremoti ed eruzioni vulcaniche.
Lo studio dell’interno della Terra è volto a migliorare le nostre conoscenze riguardo i processi che sono in grado di scatenare questi fenomeni naturali. Purtroppo però l’indagine diretta si limita agli strati più superficiali della crosta (perforazioni e trivellazioni raggiungono profondità massime dell’ordine di pochi chilometri). Pertanto, la maggior parte delle ricerche in questo settore utilizza tecniche indirette come per esempio l’analisi delle onde sismiche. Le onde sismiche, attraversando la terra dal punto in cui sono generate al punto in cui sono registrate, grazie a un sismometro, consentono di avere informazioni relative al volume di Terra intercorso (oltre che alla sorgente che le ha generate). Alcuni ricercatori dell’Università di Grenoble hanno appena pubblicato un articolo su Science (23 novembre 2012) in cui mostrano di essere riusciti ad ottenere informazioni sul mantello profondo (fino a 660 km circa) utilizzando unicamente registrazioni di “rumore sismico” ambientale.
Le immagini tomografiche (l’equivalente delle ecografie per la Terra) sono normalmente ottenute dall’analisi delle onde sismiche prodotte dai terremoti. Questa metodologia ha una forte limitazione dovuta al fatto che i terremoti avvengono in punti ben localizzati lungo i margini delle placche tettoniche, lasciando quindi scoperte (senza informazioni utili) tutte le altre zone. Solo recentemente si è sviluppata una tecnica capace di oltrepassare questi inconvenienti, dando cioè risultati indipendenti da dove e quando avvengano i terremoti.
L’oggetto di questo nuovo tipo di analisi è il cosiddetto “rumore sismico”, cioè le oscillazioni prodotte dalle onde oceaniche e dalle perturbazioni meteorologiche che si registrano in continuo come onde sismiche. Finora però dallo studio del rumore sismico era stato possibile ottenere immagini per i soli strati superficiali dell’interno della Terra (crosta e mantello superiore). Il lavoro pubblicato da Poli e collaboratori su Science rappresenta la prima ricerca mirata all’investigazione delle profondità del mantello terrestre tramite dati da rumore sismico. Gli autori hanno analizzato le registrazioni in continuo di 42 stazioni sismiche, durante un anno di esperimenti POLENET/LAPNET, nel nord della Finlandia.
Grazie all’uso di raffinate tecniche di pre-processamento e mettendo in correlazione i segnali dei diversi strumenti, sono riusciti ad ottenere informazioni riguardanti la fase di transizione del mantello terrestre (punto in cui cambiano alcune caratteristiche chimico-fisiche e in cui il mantello viene distinto in parte inferiore e superiore). In particolare sono riusciti a definire con grande precisione lo spessore delle due discontinuità che delimitano la zona di transizione: una a 410 e l’altra a 660 km di profondità, rispettivamente di 15 e 4 km, in corrispondenza della Finlandia. Questo risultato rappresenta una novità assoluta in campo sismologico e apre la strada verso la realizzazione di una più dettagliata e completa tomografia della Terra, potendo sopperire alla mancanza di eventi sismici con l’acquisizione in continuo da parte di una densa rete di sismometri.
Rappresenta inoltre un’ulteriore testimonianza delle grandi potenzialità delle analisi di rumore sismico, vale a dire di tutto ciò che fino a poco tempo fa veniva scartato dalle indagini sismologiche. Questa tipologia di ricerca cambia dunque radicalmente il punto di vista del sismologo. Solo recentemente, infatti, con il diffondersi delle nuove strumentazioni digitali che operano in continuo, si sono rese disponibili enormi quantità di dati sismici ed è stato possibile sfruttare la totalità delle registrazioni. L’applicazione di questa tecnica, fino a poco tempo fa solo vagamente ipotizzata e che aveva trovato maggiore riscontro in campi come l’acustica, è stata principalmente sviluppata da ricercatori francesi (università di Grenoble e Institut de Physique du Globe di Parigi) che risultano essere all’avanguardia nell’avanzamento dell’analisi del rumore sismico.
La grande versatilità delle analisi di rumore sismico ha permesso anche altre applicazioni, diverse dalla costruzione di immagini tomografiche, come per esempio l’utilizzo del rumore sismico per valutare le variazioni temporali delle caratteristiche crostali. Si tratta di ricerche molto importanti mirate allo sviluppo di nuove metodologie per il monitoraggio delle aree a rischio sia sismico che vulcanico. Negli ultimi anni questi tipi di studio si stanno diffondendo sempre più nel mondo e anche in Italia da ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia.