È un anno speciale per il nostro Sole e di conseguenza è un anno speciale per le aurore boreali. Nelle scorse settimane gli scienziati della Nasa e in particolare gli astrofisici della Stanford University, hanno dichiarato che siamo ormai nel pieno della cosiddetta inversione del campo magnetico solare che dovrebbe essere completata nei prossimi tre mesi. Il fenomeno è noto e si verifica ciclicamente ogni 11 anni, durante il picco di attività solare; e quest’anno siamo prossimi a uno di quei picchi di intensa attività, documentabile dall’aumento del numero di macchie rilevate sulla superficie del Sole.
Ma cosa c’entrano le aurore boreali e il loro fantasmagorico spettacolo? C’entrano perché anch’esse sono più intense e frequenti durante periodi di intensa attività solare e il motivo è legato al meccanismo che le genera. Il fenomeno delle aurore polari è prodotto dall’interazione di particelle di origine solare ad alta energia con la ionosfera terrestre (cioè la parte di atmosfera tra i 60 e i 500 km di altitudine); è quindi il cosiddetto “vento solare”, con le sue particelle cariche che eccita gli atomi dell’atmosfera inducendoli ad emettere luce di varie lunghezze d’onda. Il risultato sono quelle spettacolari bande luminose ondeggianti di colore rosso-verde-azzurro che, data la particolare configurazione del campo magnetico terrestre, sono maggiormente visibili in due ristrette fasce attorno ai poli magnetici della Terra. Le aurore possono comunque manifestarsi con un’ampia varietà di forme e colori; e possono essere visibili anche in zone meno vicine ai poli, come la Scozia, o la Scandinavia meridionale e a volte anche più a sud.
L’emissione luminosa avviene su tutto lo spettro visibile e i colori di un’aurora dipendono dai gas presenti nell’atmosfera, dal loro stato elettrico e dall’energia delle particelle che li colpiscono: ad esempio, l’ossigeno atomico è responsabile del colore verde, l’ossigeno molecolare del rosso oltre i 250 km di altitudine e del verde al disotto, l’azoto del blu, del viola e del rosa ad altezze non inferiori ai 95 km. È curioso scoprire che questo stesso processo fotochimico produce anche uno strano fenomeno chiamato “rumore elettrofonico”: vengono cioè generate delle onde radio di tipo VLF (Very Long Frequency) che, riflesse dall’ambiente circostante, possono essere percepite come suoni.
È stato Galileo Galilei a introdurre nel Saggiatore (1623) l’espressione “aurora boreale” per descrivere alcuni fenomeni dell’alta atmosfera; ma negli stessi anni anche il matematico e astronomo francese Pierre Gassendi aveva utilizzato gli stessi termini. Le aurore sono state osservate attentamente nel passato da molti scienziati, tra i quali Benjamin Franklin, ma solo verso la fine dell’Ottocento, con la profonda comprensione dei campi elettromagnetici e della magnetosfera terrestre, si sono potuti ipotizzare i meccanismi della loro formazione.
In un anno come questo, come si è detto, col Sole molto attivo è stata una festa per i cacciatori di aurore. Soprattutto quella boreale, che proprio in questi giorni di agosto è tornata a illuminare i cieli del nord, per la gioia di quanti avevano programmato le vacanze in Islanda, in Groenlandia o nelle zone settentrionali della penisola scandinava. Ma c’è anche chi si è recato in quelle zone appositamente per ammirare lo spettacolo e compiere osservazioni scientifiche dirette. Come i 15 membri della spedizione Shelios 2013, promossa dall’omonima associazione scientifico-culturale coordinata da Miquel Serra-Ricart, astronomo dell’Istituto di Astrofisica delle Canarie, che si sono trasferiti a sud della Groenlandia per una campagna di osservazioni nell’ultima settimana del mese.
Il bello di questa iniziativa è che non è state a vantaggio solo dei partecipanti. Grazie al progetto GLORIA e alle potenzialità di Internet, è stato possibile fruire in diretta delle più affascinanti visioni; ed è tuttora possibile ripercorrere i momenti più significativi della missione e ammirare le immagini più suggestive.
Il progetto europeo GLORIA (GLObal Robotic telescopes Intelligent Array for e-Science) è nato con l’obiettivo di dar vita a una sorta di “astronomia 2.0?: cioè la condivisione via rete dei telescopi e accesso libero agli appassionati del cielo di tutto il mondo, per fare tutti insieme scienza “dal basso” senza spostarsi dal proprio computer. Il progetto, finanziato dal Settimo Programma Quadro per tre anni con 2.5 milioni di euro, è coordinato dalla Facoltà d’informatica della Universidad Politécnica di Madrid e comprende tredici partner di otto Paesi. L’Italia è presente con l’INAF, e in particolare con lo IASF Bologna. Aveva fatto il suo debutto con il grande pubblico nel giugno 2012, in occasione del transito di Venere sul Sole: un fenomeno non osservabile dall’Italia, che è stato seguito e trasmesso in diretta web e satellitare grazie a tre telescopi solari appositamente installati dal team di GLORIA a Tromsø (Norvegia), a Sapporo (Giappone) e a Cairns (Australia).
Ora è la volta di Shelios e dell’aurora boreale; e a guardare le prime immagini caricate on line, si deve dire che il finanziamento sembra ben meritato. E non è finita; nei prossimi mesi il cielo polare si prepara a offrirci una serie di repliche.