Chi soffre di emofilia oggi può condurre una vita serena, studiare e lavorare, viaggiare e fare sport, anche se deve sottoporsi a prelievi, controlli e infusioni periodiche. Ma molti emofilici sono costretti a fare i conti con carenze dell’assistenza, sebbene nel 2013 sia stato sancito l’Accordo Stato-Regioni per «garantire un’adeguata presa in carico dei pazienti su tutto il territorio nazionale, riducendo differenze e iniquità nell’accesso a diagnosi, cure e trattamenti ottimali in base alle evidenze scientifiche». Proprio sulla mancata attuazione di quell’intesa è il tema che la Federazione associazione Emofilici (FedEmo) ha scelto per la Giornata mondiale dell’emofilia che ricorre il 17 aprile. Oggi invece gli emofilici si confrontano con i rappresentanti delle istituzioni in un convegno a Roma per sollecitare interventi che garantiscano ai malati un’assistenza omogenea in tutto il Paese. «I disagi per i pazienti e le loro famiglie sono enormi, come pure i costi socio-sanitari», dichiara Cristina Cassone, presidente di FedEmo, come riportato dal Corriere della Sera.
EMOFILIA, COS’È E COME SI CURA: IL FUTURO DELLA TERAPIA GENICA
Che cos’è l’emofilia? È una patologia genetica ereditaria caratterizzata dall’incapacità di produrre il giusto livello di alcuni fattori di coagulazione. La persona affetta da questa patologia, dunque, non riesce a coagulare il sangue e una semplice emorragia può rivelarsi un evento particolarmente grave. Ad oggi ci sono tre differenti tipologie di emofilia, ciascuna legata ad uno specifico difetto genetico. Le più comuni sono le forme A e B dove mancano rispettivamente i fattori VIII e IX. Ad oggi nel mondo ne soffrono circa 400 mila persone, 4 mila solo in Italia. L’emofilia è considerata moderata o grave quando la percentuale del fattore nel sangue scende al di sotto del 5%. Nel 70-80% dei casi i sanguinamenti avvengono a livello articolare, ma spaventano quelli che si verificano internamente in seguito a piccoli traumi. Inizialmente i malati di emofilia si curavano con trasfusioni di sangue, ma l’ingegneria genetica e l’avvento dei primi farmaci ricombinati ha portato alla produzione e iniezione del fattore mancante.
Con la terapia di profilassi si mantiene costante dall’esterno la quantità di fattore coagulante, ma chi soffre di emofilia richiede, a seconda della gravità, iniezioni endovena quasi giornaliere. Come riportato da La Stampa, egli ultimi anni per fortuna sono stati però sviluppate alcune formulazioni di fattori coagulanti che possono essere iniettate solo due volte a settimana. E questo ha migliorato nettamente la qualità della vita dei pazienti. La terapia genica potrebbe offrire il grande salto di qualità: l’idea di base è quella di sostituire il gene difettoso con una copia perfettamente funzionante. Ci sono diverse sperimentazioni in corso, inoltre nel dicembre scorso è stato pubblicato uno studio inglese, pubblicato dal New England Journal of Medicine, secondo cui è possibile curare con successo l’emofilia A grazie all’uso della terapia genica.