Trump non vuole dazi sotto il 15-20%, l’Ue dovrebbe assumere un atteggiamento più duro. Il vero tema è che non ha leader e coesione
La UE non mostra i muscoli e Trump ne approfitta, cercando di ottenere condizioni sempre più vantaggiose per gli USA. Il presidente americano, che dai dazi vuole i soldi per finanziare il suo grande taglio fiscale, ora non vuole tariffe inferiori al 15-20% per l’Europa, tanto che in qualche capitale europea si pensa di adottare un atteggiamento più duro nei suoi confronti.
Bruxelles, spiega Giuliano Noci, prorettore del Polo territoriale cinese del Politecnico di Milano, potrebbe puntare come arma sull’imposizione fiscale per le grandi aziende americane dei servizi digitali, anche se poi il punto vero è che il vecchio continente ha bisogno di cambiare completamente rotta, di compattarsi per affrontare le pressioni che vengono da Stati Uniti e Cina.
Trump non vuole dazi a meno del 15-20% per la UE. Un irrigidimento che ha ragioni solo commerciali o anche politiche?
Credo che l’Unione Europea abbia sbagliato atteggiamento nei confronti di Trump. Nelle relazioni internazionali conta la comprensione anche degli stati emotivi dei personaggi: il presidente USA è una persona che, se vede l’interlocutore debole, alza la posta. Credo, insomma, che da parte della UE ci sia un errore di postura.
Nonostante Trump sia ossessionato dalla Cina, le sta concedendo tutto, ora anche sui chip. Conosce solo il linguaggio della forza. Al vertice NATO tutti facevano a gara a chi gli baciava di più la pantofola, il giorno dopo il Consiglio europeo ha detto sì a dazi al 10%, quindi al G7 gli è stata fatta una scandalosa concessione sulla global minimum tax. Lui per tutta risposta cosa ha fatto? Ha messo i dazi al 30%.
Visto che l’Europa non batteva ciglio ha alzato la posta?
Il tema di fondo è che Trump ha deciso il più grande taglio fiscale che si ricordi, che genera un deficit pazzesco, e ha bisogno di rifinanziarlo. Pensa di usare le tariffe come meccanismo di finanziamento delle mancate entrate. Più ne porta a casa meglio è. Al netto del fatto che è una scelta sciagurata, questa è la sua posizione.
L’Europa, che peraltro è inesistente, ha completamente sbagliato approccio, avrebbe dovuto assumere un atteggiamento negozialmente duro, usando le poche armi che ha. Una sono i servizi digitali. L’America esporta 450 miliardi di dollari e genera un surplus di più di 100, lì il tema di fondo è quello dell’imposizione fiscale sui servizi digitali americani, che di fatto in Europa non pagano tasse.
Merz e Macron sembrano orientati a usare il bazooka, ad avere un atteggiamento più aggressivo. La UE si farà sentire?
Ormai la situazione è precipitata per l’Europa: dovrà reagire. Non è possibile una posizione alternativa. Trump nel momento in cui gli si dice che va bene il 15% punta al 25%: bisogna capire il personaggio, che non è un politico normale, ma affronta le negoziazioni diplomatiche come trattative commerciali, con lo spirito del negoziatore d’assalto.
Purtroppo, non lo abbiamo compreso. All’Europa manca la presa di coscienza che siamo in un mondo nuovo, ma se va avanti così salta, non può tenere, perché le pressioni che provengono da oltre Atlantico sono forti e quelle cinesi non sono da meno.
La von der Leyen tra pochi giorni andrà in Cina per i 50 anni delle relazioni diplomatiche con Pechino. È un segnale anche per Trump? Un modo per far pressione su di lui?
Non è la visita che conta, eventualmente è l’atteggiamento. Il viaggio era programmato, non era in alcun modo figlio dell’atteggiamento di Trump. Detto questo, credo che anche rispetto alla Cina serva una discontinuità che richiede un cambio di postura. Un’Unione Europea realizzata costituendo una debole unione monetaria non basta per reggere a pressioni come quelle che Bruxelles subisce oggi.
Poteva bastare quando gli USA non ne esercitavano e la Cina aveva un’altra postura. Ora però Pechino è molto più aggressiva e gli Stati Uniti improvvisamente si sono rivoltati contro di noi. Per di più abbiamo una presidente di Commissione debolissima. Non si intravedono leader politici in Europa all’altezza della sfida.
Quelli che abbiamo come si comportano?
Macron è debolissimo. Merz purtroppo gioca tutto in chiave sovranista. Impedisce l’operazione Unicredit quando la stessa Unicredit e Commerzbank sono due formiche su scala europea. L’Italia non conta nulla. Siamo messi veramente male.
Di questo passo reputo molto probabile una disgregazione europea. Non c’è un soggetto in grado di fare da kingmaker, di indicare la rotta: ciascuno gioca una partita di brevissimo momento ad uso elettorale interno. Siamo veramente in un momento molto delicato. Da come si sta sviluppando il dibattito sembra che stiamo affrontando una “crisetta”, ma questa è una frattura della storia e come tale ha bisogno di grandi innovazioni.
Qual è allora la strada che dobbiamo imboccare?
La UE dovrebbe scomporsi per ricomporsi in un’architettura nuova. Per prima cosa dovrebbe togliere l’unanimità delle decisioni, anche se significasse abbandonare l’Europa a 27. A quel punto scatterebbe una nuova valutazione degli interessi.
L’Europa si è allargata troppo e ingrandendosi è diventata debole. Prodi ha voluto che si ingrandisse ma ora è troppo disomogenea. È un mercato di 450 milioni di persone con un sistema di interessi completamente diversi, tale per cui quando si va a negoziare non si rappresenta sostanzialmente nessuno.
(Paolo Rossetti)
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