Gli adolescenti sono sottoposti a modelli pubblicitari di comportamento che non sono proprie della loro età. Il caso emblematico del Brasile
Spesso alcuni miei colleghi rimangono un po’ stupiti o scocciati di fronte ai modi di vestire dei loro – e quindi anche dei miei – studenti. Ovviamente si tratta del discorso più vecchio del mondo, quello dell’incomprensione tra generazioni diverse, però effettivamente anche chi è più vicino anagraficamente ai nuovi adolescenti si rende conto che qualcosa di diverso c’è. Bambine che vorrebbero essere Anna Pepe, diventata un modello anche per le bambine, ragazzi che si vestono come cantanti trap ormai più che trentenni, fino a dieci o quindici anni fa non frequentavano i banchi di scuola. E questo non per un qualche merito dei “vecchi” adolescenti, ma perché il sistema commerciale e pubblicitario lo disincentivava.
Soprattutto online, infatti, alla fascia di utenti tra i 14 e i 18 anni vengono sempre di più proposti modelli di comportamento, tendenze, mode, pensate per gli adulti. Quella che è stata definita “adultizzazione” in Brasile è di recente diventata un caso politico, e ha spinto il Paese a dotarsi di una normativa più stringente per proteggere le identità e la profilazione dei minori online.
Felca (nome d’arte di Felipe Bressanim Pereira, 1998) è uno youtuber brasiliano seguito da circa 6 milioni di persone. Lo scorso 7 agosto ha pubblicato un video documentario di circa 50 minuti che ha raggiunto in poche settimane 50 milioni di visualizzazioni. Il titolo, già piuttosto eloquente, è Adultização (“Adultizzazione”) e tratta di come, su internet, l’immagine dei minori brasiliani venga utilizzata in modo aggressivo, se non proprio criminale per fare visualizzazioni, nella maggior parte dei casi sessualizzando i loro corpi.
Lo youtuber ha denunciato soprattutto le molestie subite da minori costretti da altri adulti, spesso parenti ma non solo, a replicare challenge, format video e altri contenuti che li spingevano forzosamente a truccarsi, a fare pose ammiccanti o altro per attirare l’attenzione degli utenti e aumentare l’engagement.
Il documentario mostra anche video di genitori influencer che utilizzano l’immagine dei minori per aumentare le visualizzazioni, attirando però anche l’interesse dei pedofili. La tesi di Felca è che lo stesso algoritmo di Instagram, TikTok e altri social, rinominato dallo youtuber “algoritmo P” (dove P sta per pedofilo), finisca proprio per alimentare il mercato delle immagini pedopornografiche sul web, contribuendo ad attirare sui ragazzi attenzioni indesiderate. L’algoritmo, infatti, non fa alcuna distinzione tra video di gattini e video che hanno per protagonisti giovani minorenni: se questi prodotti piacciono, compariranno sempre più frequentemente nel feed degli utenti a prescindere, naturalmente, dalle intenzioni di chi si appassiona a questo genere di contenuti.
La pubblicazione del documentario e la sua risonanza mediatica hanno spinto il Paese a legiferare sul tema. Il parlamento brasiliano, dopo rapide discussioni in Senato e la firma del presidente, ha ratificato il 17 settembre scorso l’ECA Digital, una serie di norme che garantiscono una maggiore tutela dei minori sul web, ispirandosi agli standard europei.
Oltre al provvedimento legislativo, sono partite anche delle indagini per molestie sui minori che compaiono nel documentario. L’influencer Hytalo Santos è stato infatti accusato di tratta di esseri umani e sfruttamento sessuale minorile, perché nei suoi contenuti social avrebbe forzato degli adolescenti che vivevano in casa con lui a praticare comportamenti non consensuali poi ripresi e pubblicati online.
Anche la normativa europea, che pure era più avanzata rispetto a quella brasiliana, ha aggiunto la norma che vieta la pubblicità basata sulla profilazione online dei minori solo dallo scorso anno, con il Digital Service Act, che integra il General Data Protection Regulation, approvato nel 2016 dal Parlamento europeo e introdotto nei codici legislativi dei diversi Stati nel 2018.
Al di là delle leggi, che sappiamo quanto possano essere facilmente eluse online, si pone però anche un tema sociale. Il caso brasiliano, infatti, fa riflettere sull’adultizzazione anche al di là delle molestie e delle costrizioni a danno degli adolescenti.
Sui social non esistono infatti spazi riservati a proporre un mondo a misura di adolescente, con pop star che si vestono e si comportano come loro; non esiste più qualcosa di paragonabile a canali come Disney Channel, per capirci. Di conseguenza, anche i prodotti che le aziende provano a vendere tramite inserzioni online ai ragazzi sono, di fatto, gli stessi o per lo meno imitano quelli pensati per gli adulti. La scomparsa di questo settore di mercato ha influenzato anche il panorama culturale offline.
Oggi, secondo uno studio apparso sul Journal of Children and Media, nella maggior parte dei prodotti audiovisivi che dovrebbero essere rivolti a un pubblico di adolescenti, i protagonisti e i personaggi non si comportano e non vivono i cambiamenti del sedicenne medio. Così gli adolescenti potrebbero sentirsi più soli di fronte ai propri problemi, ispirandosi a modelli che non devono più fare i conti con sbalzi ormonali, brufoli e conflitti con le figure adulte, i coetanei e con se stessi.
Sicuramente non bisogna confondere le violazioni della privacy e le costrizioni con comportamenti e scelte personali prese liberamente, ma lo stesso documentario da cui è partito lo scandalo nazionale in Brasile cerca di far riflettere anche sulle conseguenze sociali che l’“adultizzazione” comporta. Gli adolescenti di oggi adottano sempre più precocemente comportamenti che agli adulti sembrano prematuri, ma forse è proprio il sistema costruito dagli adulti a pubblicizzare un certo modello di adolescenza.
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