La mafia e i mercanti del lavoro nero stanno trovando terreno fertile nel reclutare minori in Sicilia, dove la dispersione scolastica tocca livelli da primato europeo (19,4%) e dove assistenti sociali e centri aggregativi sono ai minimi storici.
Una documentazione corposa su questo fenomeno – per troppo tempo colpevolmente ignorato o considerato “normale” – ci viene dall’inchiesta della Commissione Antimafia dell’Assemblea regionale siciliana, presieduta da Claudio Fava, che ha dedicato al tema otto mesi di lavoro (luglio 2021-febbraio 2022) e ha raccolto 65 testimonianze di magistrati minorili, uomini politici, dirigenti scolastici, assistenti sociali e rappresentanti delle forze dell’ordine.
Nelle 106 pagine del rapporto finale troviamo elementi interessanti per ricostruire un quadro della condizione minorile in Sicilia. I dati forniti dalla Commissione Antimafia sono a dir poco allarmanti. Anzitutto per quel che riguarda la risposta delle istituzioni alla gravità del dramma di decine di migliaia di minori in dispersione scolastica.
Alcuni esempi. Ci sono città capoluogo, come Palermo, con un solo assistente sociale per 17 scuole di frontiera; oppure altre, come Catania, con 26 assistenti sociali (più della metà dei quali in procinto di andare in pensione) per tutta la popolazione minorile della città. Inoltre, in regione solo 49 docenti per gestire i 34 osservatori sulla dispersione scolastica. Il tutto in una condizione di farraginosità burocratica fuori dal normale, con ritardi di 9-12 mesi per effettuare le visite specialistiche psichiatriche di minori in difficoltà o per trovare una comunità-alloggio ad altri ragazzi bisognosi.
Come se ciò non bastasse, la Commissione Antimafia ha raccolto la denuncia di magistrati ed educatori che lamentano la carenza cronica di centri di aggregazione minorile, soprattutto nei quartieri a rischio. Il presidente del Tribunale per i minorenni di Catania, Roberto Di Bella, evidenzia per esempio che nella città etnea vi sono intere aree in cui i ragazzi non hanno nulla: né un oratorio, né un doposcuola, né un campo o una palestra dove praticare sport.
L’unico presidio educativo restano spesso solo gli istituti scolastici. Ma anche in questo caso si tratta di presìdi con servizio ridotto: il tempo pieno nelle scuole primarie dell’Isola è attivo solo nel 10% degli istituti, con la conseguenza – come ammette l’assessore regionale all’Istruzione – che i bambini siciliani perdono ogni anno 250 ore di tempo scuola rispetto ai bambini di altre regioni italiane.
Non solo. La Regione dichiara di non disporre ancora di un’anagrafe scolastica regionale (che avrebbe dovuto essere pronta già 9 anni fa).
Gli effetti di tutte queste carenze educative ed istituzionali sono, come si può immaginare, disastrosi per i minori siciliani. Nelle testimonianze rese dai rappresentanti delle forze dell’ordine sia a Palermo sia a Catania emerge quanto le organizzazioni mafiose abbiano tratto guadagno da questa situazione: i minori in dispersione scolastica, infatti, vengono reclutati per lo spaccio della droga o per supporto ad altre attività criminali.
Come si esce da questa condizione infernale?
È evidente che bisognerà ricucire l’alleanza scuola-famiglia, rendendo l’esperienza educativa scolastica un fattore attrattivo per i ragazzi e i loro genitori. E dove questo non si potesse sviluppare perché ci sono famiglie che preferiscono usare i figli minori per inserirli nel mercato del lavoro nero o in piccole e redditizie attività criminali, bisognerà procedere con misure volte a tutela dei ragazzi. La Commissione Antimafia evidenzia le buone pratiche già avviate in alcune città dell’Isola. Come il progetto “Liberi di scegliere” che ha trovato nuovo slancio a Catania, assieme al patto educativo sottoscritto in Prefettura da magistrati minorili, Comune, forze dell’ordine, Inps, Ufficio scolastico, volontariato e Chiesa locale, che prevede persino la sospensione del reddito di cittadinanza per le famiglie che non mandano a scuola i figli minori.
Altro dato importante per contrastare il fenomeno della dispersione è il coordinamento fra gli enti preposti: dal Tribunale per i minorenni ai servizi sociali, dagli istituti scolastici al volontariato.
Ma, alla fine, la grande sfida sta nel rendere le pratiche educative più attrattive rispetto al crimine che promette un guadagno facile. È questo il difficile lavoro che si trovano a compiere educatori e mondo del volontariato sociale.
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