Al Meeting si è parlato di orientamento: orientare o orientarsi? Nella scuola servono entrambe le cose, ma occorre recuperare la dimensione esistenziale
I temi della scuola e dell’educazione sono sempre stati di casa al Meeting di Rimini, e non potevano mancare certamente in una edizione in cui, provocati dalla frase di T.S. Eliot, ci si è confrontati sul costruire e costruire con mattoni nuovi.
A chi affidare questo compito? Di quali mattoni stiamo parlando? E da cosa è rappresentato il nuovo? È inevitabile quindi guardare ai giovani, ed il Meeting l’ha fatto in tanti modi.
Tra i vari appuntamenti dedicati alla scuola, di rilievo quello che ha messo al centro la questione dell’orientamento, cioè quel processo e quelle attività che le scuole mettono in atto per aiutare i ragazzi a compiere scelte importanti, in particolare in due momenti della loro vita: il passaggio dal primo ciclo, cioè dalla scuola media, al secondo, e quello al termine della scuola superiore, quando si tratta di decidere se e quale università frequentare, oppure se optare per un percorso post secondario, come ad esempio un ITS, oppure se provare ad inserirsi immediatamente nel mondo del lavoro.
L’incontro di lunedì 25 agosto, sin dal titolo, ha indicato alcune questioni nodali.
Orientare o orientarsi? ci si è chiesti. E non è questione da poco. Perché il verbo orientare sembra voler richiamare la necessità di qualcuno che detta la direzione a qualcun altro: certamente – lo si è detto chiaramente in quella sede – c’è un inevitabile e necessario livello informativo sulle opportunità che si aprono ai ragazzi: ne ha parlato Stefano Bolognini, consigliere personale del ministro Valditara, che ha sottolineato gli sforzi del ministero su questo tema, richiamando, tra le altre cose, gli sforzi per valorizzare tutte le opzioni, in particolare il segmento dell’istruzione tecnico-professionale, considerato che la scuola superiore italiana non è fatta solo di licei, o per potenziare i percorsi degli ITS.
Ma soprattutto – ed è stato il cuore dell’intervento dello scrittore Luigi Ballerini – si tratta di aiutare i ragazzi ad orientarsi, cioè a scoprire se stessi, i propri talenti, le proprie inclinazioni, perché le scelte siano consapevoli. Ma questo non significa fare da soli: c’è sempre bisogno di un altro per scoprirsi.
Perciò, accanto alle studentesse e agli studenti, ci sono tre figure fondamentali: gli insegnanti, le famiglie, i compagni. Qual è oggi il loro ruolo? C’è qualcosa da ripensare? Molte sono state le sollecitazioni. Ad esempio sono in gioco le famiglie, perché – ha ricordato Ballerini – è la vita stessa che orienta: ma c’è consapevolezza tra i genitori che orientano i romanzi che leggiamo, i film che ci colpiscono, le canzoni che ascoltiamo, le esperienze con gli amici, le mostre visitate, lo sport praticato, gli strumenti musicali suonati?
E poi la scuola, perché, ad esempio, se è apprezzabile l’introduzione della specifica figura del docente orientatore e del tutor, è altrettanto vero che ogni insegnante dovrebbe avere la consapevolezza che sia il contenuto sia la modalità con cui trasmette la propria disciplina hanno un valore orientante, cioè aiutano gli studenti a conoscere meglio se stessi e il mondo.
E questo ruolo della scuola è stato documentato dall’intervento della dirigente del liceo Pascal di Pompei Filomena Zamboli, che con grande passione ha fatto vedere come, attraverso il teatro, la lettura, la creatività, sia possibile nella scuola rendere gli stessi ragazzi protagonisti di questa scoperta di sé, dei propri talenti, della voglia di affrontare il futuro.
Certamente il mondo del lavoro è complesso, ha ricordato Alessia Toia della E-work Spa, intervenuta a portare il punto di vista di chi vuole introdurre i ragazzi al lavoro. E sappiamo anche che in Italia sono tante le questioni aperte, che le scelte dei ragazzi sono ancora troppo legate al contesto socio-culturale di provenienza, che il fenomeno della dispersione è ancora significativo, che spesso la domanda e l’offerta di lavoro non si incontrano.
La strada tracciata è però chiara: occorre mettere davvero al centro del sistema i ragazzi, ripensare la progettazione delle scuole e la stessa attività didattica. Non si tratta di aggiungere altre iniziative. È innanzi tutto una questione di metodo, in cui la preoccupazione – a tutti i livelli – non sia solo quella di fare per i ragazzi, ma con i ragazzi, per renderli davvero protagonisti e responsabili del proprio percorso.
Attenzione: tutto questo non vuol dire affatto un passo indietro degli adulti, anzi, ancora di più, viene chiesta loro una rinnovata e grande responsabilità educativa. Ma occorrerà parlarne ancora.
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