SCUOLA/ Soft skills, il bello di sperimentare “buone pratiche” già esistenti

- Fulvia Del Bravo

Le soft skills nella scuola sono già implicate nella valutazione per competenze. È opportuno che una sperimentazione le metta al centro

scuola classe covid 11 lapresse1280 640x300 (LaPresse)

Le soft skills sono imprescindibili nella valutazione degli studenti. Da più di un decennio nella scuola è stato introdotto il concetto di competenze, tanto che in uscita al termine di un ciclo di studi si rilascia il Certificato delle competenze in otto campi, tra cui spiccano “Imparare ad imparare”, “Competenze sociali e civiche”, “Spirito di iniziativa” e “Consapevolezza ed espressione culturale”, che sono trasversali alle singole discipline. Queste sono state introdotte con la “Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a competenze chiave per l’apprendimento permanente” (2006), dettagliate in seguito con le Indicazioni nazionali del 2012 e successivamente con ulteriori precisazioni tramite Dm e note del ministero.

Per certificarle occorre necessariamente prendere in considerazione le soft skills di ciascun studente e come intervengano per svolgere le prove strutturate per indagarle. Per esaminare la qualità di un elaborato (prova di competenza o compito di realtà) si utilizzano rubriche di valutazione che considerano, tra gli altri, parametri di collaborazione, di flessibilità, di leadership, di progettazione, spirito critico e problem solving, che sono esattamente le soft skills.

Risulta inoltre una connessione molto stretta tra le competenze, le skills e l’Agenda per la Scuola 2030 promossa nel 2015 con i suoi 17 obiettivi per uno sviluppo sostenibile.

Nell’elaborazione di progetti e attività legate ai vari obiettivi si testano effettivamente le competenze, come ho avuto modo di verificare frequentando diversi corsi di aggiornamento sul tema. Ci sono esperienze di lunga data condotte in collaborazione con associazioni ed enti sul care giving a tutti i livelli di scuola.

Operando da diversi anni come docente della scuola secondaria di primo grado, mi trovo ad avere a che fare con le soft skills degli studenti oserei dire da sempre. Sono utili per valutare la persona nel suo complesso oltre che nelle varie discipline di insegnamento e se ne ha un’idea chiara durante il consiglio di classe, quando i professori di motoria, musica o arte descrivono situazioni degli alunni difficilmente riscontrabili in altre ore di insegnamento: la leadership nel gioco di squadra, lo spirito di collaborazione, la creatività eccetera. Pertanto un percorso sperimentale che permetta di ampliare la sondabilità delle skills in altri ambiti, strutturata e verificabile con prove ad hoc, appare davvero necessaria.

Nell’intervento educativo e didattico del triennio si considera nel percorso di ciascun alunno se c’è una progressione rispetto alla consapevolezza si sé, alla capacità di operare confronti e altri obiettivi del processo formativo che includono l’autostima, la motivazione ad imparare e la collaborazione con compagni ed adulti.

In numerosi corsi di aggiornamento si è affrontato il tema delle competenze, ma anche del benessere a scuola, esigenza evidentemente fondamentale ai tempi del Covid. L’idea di considerare i propri bisogni e quelli degli altri e prendersene cura migliora la propria percezione di sé, oltre a renderci cittadini responsabili.

Sperimento quotidianamente l’importanza delle abilità non strettamente cognitive nelle mie classi. I ragazzi e le ragazze che non sono particolarmente bravi nelle discipline tendono a distrarsi e a non ascoltare la lezione, pertanto le moderne strategie didattiche consigliano la lezione segmentata, che prevede micro-unità temporali con l’alternanza di attività differenziate che mirino a coinvolgere gli studenti in prima persona e che ripropongano gli argomenti in modi diversi.

Per esempio, ho trovato molto utile per l’insegnamento della storia un corso di aggiornamento che suggeriva nel concreto queste modalità da sperimentare, non ultima l’immedesimazione degli studenti nei ruoli proposti dal tema studiato. Per la seconda rivoluzione industriale alcuni hanno interpretato i diversi ruoli dell’imprenditore, dell’operaio, del sindacalista e le parole del libro che parevano lontane e incomprensibili sono diventate oggetto di “esperienza” e apprese in modo efficace e stabile e non strettamente mnemonico.

Proprio in questi giorni abbiamo ricevuto l’avviso di un improvviso cambio di aula che ha gettato alcuni alunni della classe nella polemica e nella lamentela verso il disagio, dimostrando una scarsa capacità di adattamento, mentre due alunne in autonomia hanno recuperato il materiale lasciato nell’aula precedente e lo hanno distribuito ai compagni che si stavano ancora lamentando. È evidente come il problem solving metta i soggetti in moto di fronte alle situazioni sfidanti e che in certi casi si possa rispondere alle necessità non solo personali, ma collettive.

Il rientro dal Covid ha evidenziato in molti casi negli alunni la tendenza all’isolamento, alla risoluzione dei bisogni individuali, facendo perdere l’importanza della dimensione collettiva della classe.

Nei miei alunni di terza che seguono l’indirizzo musicale ho potuto constatare come imparando ad avere una visione che è aperta all’interesse di tutti non vengono trascurati affatto i bisogni individuali, anzi vengono messi in luce. I ragazzi apprendono lo studio dello strumento in modo individuale, ma anche come musica d’insieme, realizzando brani d’orchestra con risultati davvero eccellenti. In quel lavoro imparano ad avere un rilievo personale (esibizione individuale), ma anche orchestrale, dove è indispensabile che ciascuno curi la propria parte per permettere uno spettacolo corale di successo.

Sapere che in questi giorni il Parlamento approva una legge che introduce in modo sperimentale le soft skills in ambito scolastico mi conforta, perché permette alle buone pratiche già esistenti di diventare oggetto di sperimentazione e prassi consolidata attraverso linee guida e modelli da imitare.

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