Impegnatiello è stato condannato all’ergastolo, ma al processo mediatico sembra non bastare. Eppure, la premeditazione non poteva esserci
Non c’era la premeditazione nell’omicidio Tramontano. La sentenza aveva suscitato scalpore e proteste allorquando la Corte d’assise di appello di Milano aveva letto in aula il dispositivo che escludeva l’aggravante. Ma ora i giudici hanno depositato le motivazioni e la loro decisione sembra impeccabile.
Il topicida somministrato da Alessandro Impagnatiello alla fidanzata Giulia era da ascriversi al tentativo di provocare un aborto spontaneo e non di uccidere la mamma per la semplice ragione che la quantità del veleno utilizzata dal reo era modesta e perché, rileva la Corte, “se in sette mesi Giulia Tramontano non è stata uccisa dal veleno, evidentemente la morte di lei non era quello” che Impagnatiello voleva.
La decisone di uccidere la ragazza maturò, secondo i giudici di appello, irretrattabilmente alle ore 15.00 del giorno dell’omicidio, avvenuto solo quattro ore dopo. Quel pomeriggio, infatti, il barman aveva intuito che sarebbe stato “smascherato” da Giulia e dalla ragazza con cui aveva una relazione parallela.
La Corte si è quindi uniformata all’indirizzo della Cassazione per la quale la premeditazione richiede una deliberazione criminosa coltivata nel tempo e mai abbandonata, l’esistenza di quel processo psicologico di intensa riflessione e di fredda determinazione che caratterizza la circostanza aggravante, processo che richiede un periodo ben più lungo delle quattro ore, così come ricostruito in sentenza.
È stata confermata invece la sussistenza dell’aggravante della crudeltà alla luce delle 37 coltellate inferte dal reo sulla vittima e su questa circostanza si concentreranno i motivi per il ricorso in Cassazione, forti della giurisprudenza secondo la quale l’aggravante in questione sussiste solo se le modalità della condotta rendono evidente la volontà del reo di infliggere alla vittima sofferenze inutili.
E confermata anche la sanzione inflitta: ergastolo. Una conferma che, se la sentenza non verrà riformata in Cassazione, rende vane e superflue tutte le infondate polemiche, troppo amplificate dai media, che hanno accompagnato il mancato riconoscimento della premeditazione.
E dopo l’ultimo grado di giudizio calerà il sipario sul processo mediatico e inizierà, o meglio proseguirà, il lungo e faticoso percorso di rieducazione e riabilitazione per il condannato che potrà incrociarsi, se lo vorranno e nonostante la sofferenza che ora stanno vivendo, con i parenti della vittima in quel percorso di giustizia riparativa che forse troppo frettolosamente, benché richiesto, è stato fino ad oggi negato.
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