Torna a far discutere il caso della liberazione di Usama Al-Masry. E non si può scordare il caso della giornalista Cecilia Sala
Il Governo Meloni – quasi nessuno sembra volerlo ricordare oggi – ebbe un difensore d’eccezione all’indomani della liberazione di Usama Almasri: la giornalista Cecilia Sala, a sua volta liberata pochi giorni prima dalle carceri iraniane, al termine di una trattativa-blitz condotta personalmente dalla Premier.
L’aereo dei servizi di sicurezza italiani che riportò a casa il generale libico era più che virtualmente lo stesso che aveva restituito Sala alla sua famiglia, dopo una detenzione fortunatamente brevissima nella prigione di Evin. Lo stesso aereo viene giudicato ora – nel primo caso – corpo del reato di peculato a parere dei magistrati che hanno chiesto il processo per tre membri dell’Esecutivo, dopo aver indagato la stessa premier. Nessuna iniziativa giudiziaria fu invece presa per la quasi contemporanea vicenda Sala, risolta a sua volta con una specifico scambio: quello che riportò a Teheran Mohammad Abedini Najafabadi, un ingegnere militare.
Nei giorni tesissimi dell’ultimo Capodanno era d’altronde subito iniziato un processo politico-mediatico alla Premier: condannata a prescindere per lasciare in mano a un “regime islamico” una donna-italiana(occidentale)-giornalista (collaboratrice di Chora Media di Mario Calabresi ma anche del Foglio di Giuliano Ferrara).
Il processo a Meloni proseguì anche una volta che Sala riabbracciò in diretta il suo boyfriend (giornalista) a Ciampino: la photo opportunity era stata sporcata dall’accordo personale fra Meloni e il presidente eletto americano Donald Trump, mediato da Elon Musk.
La stessa Sala, comunque, non mostrò esitazione parlando nel salotto tv tempio della sinistra politicamente corretta, proprio sul caso Almasri: “Io credo che dietro il rilascio di Almasri – disse a Fabio Fazio – vi sia una questione di sicurezza. La sicurezza degli italiani viene prima di tutto il resto. Non è solo una questione di sicurezza sul fronte migranti ma più semplicemente per gli italiani che per lavoro abitano e vivono in Libia”.

I magistrati italiani la pensano evidentemente in modo radicalmente diverso: con un passo finale doppiamente doppiopesista, che ha archiviato in modo ostentato le ipotesi di reato solo per la premier. In sostanza: anche sul versante geopolitico – nel corso di una guerra globale – le scelte dell’Italia spetterebbero all’ordine giudiziario, non alla sovranità democratica del potere legislativo ed esecutivo.
In queste ore sui media scorrono le immagini terribili di un ostaggio israeliano tuttora detenuto da Hamas dopo quasi due anni. Il video è alternato con il volto torvo del Premier israeliano Netanyahu, deciso ora a liberare quell’ostaggio “con la forza”. Invece di chiedere all’Amministrazione Trump di facilitare un trattativa, il Governo israeliano resiste a ogni pressione internazionale e continua nella distruzione “genocida” di Gaza.
Sono ormai due anni che il Governo di Gerusalemme usa i suoi apparati militari e di sicurezza per uccidere (anche i cittadini israeliani in ostaggio del terrorismo islamico). Par di capire che i magistrati italiani stiano dalla sua parte. Che chiaramente non è quella del “loro” capo al Csm, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, già vicepremier con delega ai servizi segreti durante l’operazione Nato contro la Serbia.
Mattarella – che si era pubblicamente felicitato per la liberazione di Sala – nei giorni scorsi ha sfidato l’ira del collega israeliano Isaac Herzog invocando la sospensione delle ostilità a Gaza da ambedue le parti (quindi anche con la liberazione senza condizione degli ostaggi da parte di Hamas).
Il discorso si va facendo troppo largo. O forse no.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
