Elly Schlein continua a strattonare la premier perché dica dove sceglie di stare, ma il paniere di tutte le ambiguità è quello della segretaria dem
Elly Schlein continua a strattonare Giorgia Meloni: “Dica da che parte sta” sulla collocazione geopolitica dell’Italia e sulle guerre. Nei fatti Meloni – da leader FdI prima e da premier italiana democraticamente eletta ventinove mesi fa – ha sempre detto da che parte sta, agendo sempre di conseguenza. Meloni sta con gli Usa (qualsiasi presidente abbia, il dem Joe Biden o il repubblicano Donald Trump) sia sulla guerra russo-ucraina sia su quella tra Israele e Hamas.
È la posizione strutturale che l’Italia ha dai primi governi democratici di Alcide De Gasperi, co-fondatore della Ue e della Nato. E il realismo di De Gasperi certamente non concepiva allora neppure lontanamente un’Europa “terza” fra gli Usa (che avevano liberato l’Europa dal nazifascismo, difendendone poi metà dalla minaccia sovietica) e l’Eurasia emersa con l’Urss ed emergente con la Cina popolare.
È Schlein che invece non ha mai detto in due anni da che parte sta, da che parte sta il suo Pd che ha raccolto – anche – l’eredità cattodem di De Gasperi. La leader dem è contro il cessate il fuoco che Trump ha imposto a Gaza? Schlein lo dica: lei e solo lei – capo del maggior partito d’opposizione – ha il diritto-dovere di dirlo in una democrazia elettorale.
Chiarirebbe fra l’altro se è formalmente sua la posizione “due Stati in Palestina” del presidente della Repubblica. Domenica sera, il dem Sergio Mattarella l’ha nuovamente esternata in evidente chiave contestativa contro Trump e il suo piano di stabilizzazione dell’intero Medio Oriente, pienamente appoggiato dallo Stato ebraico. Schlein è contro il governo d’Israele?
Una probabile candidata premier fra due anni dovrebbe sentire il dovere di dirlo: anche rischiando la fine di Jeremy Corbyn, il leader del Labour inglese che fu decapitato dal suo stesso partito per le sue posizioni filopalestinesi. L’indecisione ambigua è stata d’altronde appena fatale a Joe Biden, alla cui campagne 2008 e 2012 Schlein ha partecipato.
A proposito: la segretaria dei dem italiani ha anche passaporto Usa. Scontato che sia nemica acerrima di Trump: ma per una possibile candidata premier italiana nel 2027 sarebbero più importanti gli interessi dei cittadini italiani/europei o quelli dei dem americani all’opposizione?
Schlein è favorevole o contraria alla cornice di “fine guerra” abbozzata da Trump fra Russia e Ucraina? Il Pd è favorevole alla Ue di Ursula von der Leyen, quando preannuncia nuovi aiuti (bellici) all’Ucraina e nuove sanzioni alla Russia? La segretaria dem non può sfuggire in eterno a una risposta forte e chiara, anche se la trasparenza, a questo punto, può imporle prezzi e rischi politici alti.
Un no alla “pace di Trump” – in pura dialettica politicista interna con Meloni – andrebbe a contraddire le forti componenti pacifiste del Pd, con il rischio di rafforzare a sinistra l’aperto pacifismo di M5s. Il no a una de-escalation fra Russia e Ucraina sarebbe d’altronde un’accettazione tacita di nuovi sacrifici inflazionistici e recessivi causati dalle sanzioni a Mosca e dal protrarsi dell’instabilità globale, oltre a quelli già sofferti da tre anni da milioni di famiglie e imprese italiane.
Ancora: il no all’America di Trump andrebbe più o meno implicitamente a sostenere le voci che – anche nel centrosinistra italiano – invocano già un rovesciamento radicale delle alleanze geopolitiche dell’Europa a favore della Cina.
Meloni è volata a Mar-a-Lago per liberare Cecilia Sala. Ha partecipato in video alla convention politica dei conservatori trumpiani Usa. Non ha avuto timore di astenersi, inizialmente, in Consiglio Ue sulla conferma di Ursula von der Leyen, imposta da Emmanuel Macron e Olaf Scholz con modi “trumpiani” e per interessi di potere personale, entrambi poi duramente contestati dagli elettori francesi e tedeschi. Da premier italiana, Meloni non ha declinato l’invito di Macron a un irrituale vertice “anti-Trump”, ma non ha nascosto perplessità di metodo e merito.
Parteciperà al G7 che deve pronunciarsi sull’Ucraina e quindi a una Consiglio straordinario Ue sulla questione: vedremo quali posizioni sosterrà, ma saranno comunque assai più legittime di quelle portate a quel tavolo dalle anatre zoppe Macron e Scholz.
Al posto di Meloni, Schlein cosa farebbe, cosa farà? Cosa dice oggi da leader del Pd?
P.S.: Mario Draghi, ex presidente della Bce ed ex premier italiano (oltreché ex top manager della Goldman Sachs), ha riesposto pochi giorni fa davanti al parlamento europeo il suo Rapporto sulla competitività della Ue. Ha lanciato segnali coerenti sul piano economico-finanziario (quello del suo rapporto) ma non del tutto su quello geopolitico nel turbolento avvio dell’era Trump.
Ha detto che la Ue “dovrà garantire da sola la sicurezza sua e dell’Ucraina” (e per questo deve accelerare sul debito comune): ma è sembrato trattarsi più di una presa d’atto che di una contestazione della posizione Usa sul futuro della Nato, peraltro non nuova, neppure da parte dell’America dem.
Draghi ha riconosciuto anche che l’abbassamento dei prezzi dell’energia è una priorità assoluta per la ricostruzione della competitività industriale dell’Europa: ma le opzioni politiche dentro e fuori la Ue (riapertura “pacifica” delle forniture russe o apertura al gas Usa “nucleare pulito” oppure no nella transizione verde Ue) appaiono molto diverse.
Comunque, anche da parte di Draghi “parole chiare” non sarebbero affatto inutili: anche se per lui non sono obbligatorie. E sebbene sia verosimile che uno dei grandi tecnocrati in circolazione sul pianeta i suoi punti di vista preferisca farli circolare in sedi riservate. Almeno per ora.
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