Le scelte sui dazi dell'Amministrazione Trump vengono duramente criticate, ma ci sono dati che paiono dar ragione al Presidente Usa

In questi giorni la scena mediatica è occupata dagli incontri per far finire la guerra in Ucraina. Una situazione ovvia, data l’importanza dei fatti. Così, per ora, gli ultimi dati finanziari sono passati in secondo piano, nonostante la loro importanza.

In sostanza, il tasso di inflazione si è confermato ai valori precedenti, con qualche segnale positivo. E questi dati smentiscono clamorosamente i denigratori di Trump e della sua politica economica, in particolare i denigratori della politica dei dazi, perché secondo costoro i dazi portano inevitabilmente all’inflazione.



I dati hanno smentito in modo definitivo questo tipo di ragionamenti. Ora però occorre capire perché.

Il fatto è che tutta una serie di capisaldi della dottrina neoliberista sono falsi e sono stati dimostrati falsi dalla realtà economica concreta. Questo è avvenuto perché tale dottrina non tiene conto di una realtà fattuale, cioè della distorsione del “libero mercato” operata dall’enorme liquidità immessa dalle Banche centrali in tutti questi anni, sia in tempi di crisi, sia in tempi di crescita.



Uno dei cardini del sistema racconta che al crescere della liquidità, al crescere del denaro presente nel sistema economico e finanziario, deve crescere l’inflazione. Ma questo non è avvenuto per un motivo ben noto a chi fa veramente ricerca economica: gran parte della liquidità è finita nei mercati finanziari. Questi hanno avuto un’enorme espansione dei valori tale da non rispecchiare più l’andamento dell’economia reale. In qualche modo hanno avuto una loro “inflazione” (se così si può chiamare la crescita del valore delle azioni), i cui valori non sono inseriti in nessun paniere.



(Ansa)

Una delle principali conseguenze di questo sistema è che le iniezioni di liquidità non creano inflazione, così come le restrizioni non calmano l’inflazione. Ne abbiamo avuto prova in questi anni, quando la Bce ha tenuto a lungo bassi i tassi, per facilitare i prestiti e spingere la crescita del Pil, sperando di vedere qualche segnale dall’inflazione (primo indicatore di un Pil che inizia a crescere). Risultato? Niente crescita dell’inflazione e Pil sempre sotto i valori sperati. Di tanta liquidità hanno goduto i mercati finanziari, ma quella è un’altra storia.

Un altro dogma di questa ideologia cieca e ottusa è che i dazi sono il male perché con essi sale l’inflazione, quell’orribile inflazione che corrode i grandi capitali, ma nulla può sull’economia reale, soprattutto se gli stipendi si adeguano a essa.

Ora però si scopre che salgono i dazi e, miracolo di Trump, l’inflazione non sale. E si vedono questi “espertoni” economisti che, intervistati, balbettano, non sapendo che pesci prendere, perché da un lato continuano a irridere l’ignoranza economica di Trump che “crede di risolvere i problemi dell’economia americana con i dazi”, dall’altra balbettano quando gli si fa notare che i numeri dell’economia sembrano dare ragione all’Amministrazione americana.

Qualcuno ha provato a dire che la salute dell’economia americana è merito di Biden, dimenticandosi allegramente dell’enorme debito pubblico lasciato dalla precedente Amministrazione. Però tra qualche mese anche questa scusa ridicola sarà necessario accantonarla e quindi sarà divertente vedere cosa si inventeranno.

Non ce la fanno proprio a capire che ogni eccesso fa male e quindi, dopo gli eccessi del libero mercato e della globalizzazione, una qualsiasi marcia indietro può essere solo salutare, per l’economia locale e per quella globale.

E poi non bisogna dimenticare che gli stessi fanatici fautori della globalizzazione non hanno avuto nulla da dire sui numerosi dazi imposti dall’Ue all’economia cinese, in particolare i dazi al 45% nel settore delle auto elettriche. Non sono più a favore della svolta green e della globalizzazione in quel caso? Le critiche ai dazi valgono solo quando li fa Trump?

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