Jens Stoltenberg - oggi ministro delle Finanze in Norvegia - resiste al boicottaggio finanziario verso Israele
In Norvegia si vota fra due settimane e la campagna elettorale ruota anche attorno alla guerra di Gaza. Con una dinamica non scontata, all’incrocio fra politica interna e geopolitica, fra finanza pubblica nazionale e mercati globali.
La maggioranza uscente di centrosinistra del Premier Jonas Store scricchiola nei poll, concedendo un leggero vantaggio al “blocco blu” di centrodestra. La spinta viene soprattutto dalla crescita attesa dei partiti a destra dei conservatori, all’interno di un mainstream europeo.
Nel cuore del confronto pre-elettorale a Oslo c’è l’ipotesi – sostenuta dal centrosinistra – di aumentare la pressione fiscale sui più ricchi fra i 5,5 milioni di norvegesi. Questo avverrebbe a valle di un quadriennio di redditi straordinari di cui Oslo ha beneficiato dall’export di gas e petrolio dopo le sanzioni europee alla Russia. Quei redditi sono in gran parte affluiti al maxi-fondo sovrano Norges (che sostiene un ricco welfare pubblico) ma anche a non pochi soggetti privati.
Norges è comunque finito nel mirino della sinistra di governo non meno dei wealthy people (norvegesi o stranieri fiscalmente residenti) anche se per ragioni diverse.
La Socialist Left – junior partner del Labour Party al Governo – vuole che Norges dismetta tutti i suoi investimenti in Israele per manifestare concretamente la condanna per il massacro di Gaza. Il fondo sovrano di Oslo – che ha attività totali per circa 2mila miliardi di dollari – è uno dei maggiori investitori istituzionali del pianeta: nel suo portafoglio vi sono partecipazioni in oltre 9mila società, fra cui – naturalmente – alcune israeliane, attive soprattutto nell’hi-tech e nel bio-tech. Al momento però, il Labour mostra di voler resistere alle pressioni da sinistra a favore di un boicottaggio finanziario che Israele considera da sempre esemplare di antisemitismo.
A rendere più interessante il caso è l’identità del ministro delle Finanze che si sta assumendo la responsabilità politica di non sanzionare il Governo Netanyahu, contro la volontà del suo stesso elettorato alla scadenza del voto. È Jens Stoltenberg: fino a metà 2024 Segretario generale della Nato. L’uomo che dal febbraio 2022 ha incitato ogni giorno l’Occidente a combattere l’aggressione russa in Ucraina “fino alla vittoria definitiva”. L’ex Premier europeo (ma di un Paese fuori Ue) che gli Usa di Joe Biden hanno prorogato per tre anni al quartier generale Nato di Bruxelles come guardiano della fedeltà bellicista dell’Ue sul fronte ucraino.
Ora che alla Casa Bianca c’è Donald Trump, Stoltenberg sembra avere buon gioco nell’orientare la sua fedeltà bellicista a Netanyahu. Quest’ultimo sembra rivestire in Medio Oriente i panni dell’aggressore, ma è pur sempre un alleato di ferro del Presidente Usa in carica. E pazienza se a Gerusalemme comanda un Governo di estrema destra. Per Stoltenberg sembra evidentemente importante che la guerra continui, su tutti i teatri. Finché ci saranno guerre ci saranno extraprofitti per la Norvegia. Con un Governo di centrosinistra o di centrodestra.
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