SPILLO/ Se il G8 di Genova diventa un nuovo mito resistenziale
La sinistra, ormai forza politica priva di sostegno popolare, si attacca a miti controversi del passato per cercare di darsi una consistenza che non ha più
Nei giorni in cui Cuba sembra voler rottamare l’ultimo mito archetipico della sinistra antagonista moderna, in Italia è in corso il tentativo mediatico di costruirne uno di nuovo: quello del G8 di Genova
La celebrazione del ventennale appare condotta scientificamente, nello sforzo di ravvivare una narrazione storico-politica in sé elementare. “Giovani in lotta per un mondo migliore” contro “Stato assassino di polizia”. “(Super)Stato imperialista delle multinazionali” (copyright: Brigate Rosse, anni 70 del secolo scorso) versus una sinistra “antifascista”, unica legittima depositaria della civiltà democratica. E’ la riedizione pura e semplice del Mito della Resistenza: fondativo della Repubblica “materiale” non meno della sua Costituzione. Un mito divisivo per definizione e scopo strategico. Un mito che attraversa la storia italiana dalla lotta partigiana (che Indro Montanelli chiamava “guerra civile”) fino alla difficile estate 1960, che ebbe Genova come epicentro; dagli “anni di piombo” fino al G8 del 2001 ma anche all’estate 2021 in Val di Susa (dove pochi giorni fa un posto di blocco improvvisato da irriducibili no-Tav voleva impedire il transito a un piccolo autotrasportatore).
E’ un’operazione non sorprendente. Il cambio di governo – con il rientro di Lega e Forza Italia nella maggioranza – e la lenta normalizzazione di tutti i confronti sociopolitici nel sistema-Paese in vista della scadenza elettorale del 2023, rimette la sinistra italiana di fronte a una dura realtà: la sua obsolescenza minoritaria, evidente perfino nei 18 mesi del governo giallorosso. E questo al culmine di un decennio in cui la sinistra “ufficiale” (il Pd sostenuto da un vasto establishment finanziario, mediatico e soprattutto giudiziario) ha governato il Paese sempre virtualmente con “pieni poteri” ma sempre senza una reale legittimazione politico-elettorale.
Una sinistra prima scavalcata e poi zavorrata dal populismo autodistruttivo di M5S annaspa ora fra battaglie avulse dall’emergenza socioeconomica portata dalla pandemia; e miti-rifugio puramente mediatici: improvvisati nel giro di una notte in redazioni popolate di cinquantenni convinti di trattenere almeno gli e-lettori coetanei con “biopic” generazionali. Non che nel breve termine non possano sortire qualche risultato: il mito dell’Odio Nero costruito attorno alla senatrice a vita Liliana Segre è stato certamente fondamentale per la vittoria “patriottica” del centrosinistra alle elezioni regionali in Emilia Romagna. Ma ha anche rivelato i limiti del maneggio politico di queste armi nel ventunesimo secolo. La “resistenza ora e sempre” della senatrice è stata perdente, due anni dopo, nella difesa parlamentare del premier Giuseppe Conte, “punto di riferimento dei progressisti italiani”. E poi – come tutti i miti – anche il suo si è rivelato come minimo contraddittorio alla verifica della sua origine: la senatrice stessa ha dovuto prendere le distanze dal (presunto, anzi: falso) evento fondativo del mito (l’invio di 200 messaggi “hate” al giorno nella sua casella di posta elettronica).
Neppure il “mito del G8” sembra sfuggire a un doppio “check” storico. Il primo – strutturale – è suggerito dal calendario geopolitico: il prossimo G20 è in programma a Roma il 31 ottobre. Lo presiederà Mario Draghi, a capo di un governo italiano di unità nazionale di cui fa parte anche Fi, guidata da Silvio Berlusconi, premier al G8 di Genova. La governance globale reale continua: totalmente anti-mitologica, per definizione sgradevole nelle forme e insoddisfacente negli esiti (“La democrazia – diceva Churchill – resta il peggiore dei sistemi politici, salvo tutti gli altri”). I miti antagonisti intanto si bruciano sempre più in fretta. I gilet gialli non hanno devastato irreparabilmente Parigi come nel 1789; gli xenofobi tedeschi non hanno conquistato il Reichstag; Fidel Castro ha potuto a stento morire nel suo letto all’Avana; Julian Assange in meno di un decennio si è trasformato da hacker-eroe in ricercato del #metoo. Mentre il Covid ha contagiato anche il mito profondamente anti-tecnologico di Greta, si è consunto anche il mito più potente del ventunesimo secolo, esploso due mesi dopo il G8 di Genova nei cieli di New York: l’Islam non è riuscito – almeno finora – nell’intento di un “revenge” millenario contro l’Occidente cristiano.
Del tragico G8 2001 – nella società istantanea dell’immagine – resta una foto. Ritrae l’attivista antagonista Carlo Giuliani che – mascherato in uno scenario di guerriglia urbana – si dirige imbracciando una grossa bombola verso una camionetta della polizia con i vetri sfondati. All’interno si scorge un poliziotto che impugna una pistola: pochi istanti dopo l’arma sparerà e ucciderà Giuliani. Su questo fatto e su quelli che sono seguiti in quelle ore e da quella giornata è doveroso che gli italiani riflettano anche oggi: come su tutte le memorie collettive del Paese. Ma non sui miti costruiti per rivendicare false superiorità etico-politiche. Per impedire agli italiani di guardare in faccia e fronteggiare le sfide reali del presente: che la sinistra italiana non ha più la forza, il coraggio, l’autorevolezza di affrontare.
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