SPILLO/ Se il G8 di Genova diventa un nuovo mito resistenziale

- Stefano Bressani

La sinistra, ormai forza politica priva di sostegno popolare, si attacca a miti controversi del passato per cercare di darsi una consistenza che non ha più

polizia_scontri_g8_genova_1_lapresse_2001 G8, scontri e feriti con la Polizia - La Presse

Nei giorni in cui Cuba sembra voler rottamare l’ultimo mito archetipico della sinistra antagonista moderna, in Italia è in corso il tentativo mediatico di costruirne uno di nuovo: quello del G8 di Genova

La celebrazione del ventennale appare condotta scientificamente, nello sforzo di ravvivare una narrazione storico-politica in sé elementare. “Giovani in lotta per un mondo migliore” contro “Stato assassino di polizia”. “(Super)Stato imperialista delle multinazionali” (copyright: Brigate Rosse, anni 70 del secolo scorso) versus una sinistra “antifascista”, unica legittima depositaria della civiltà democratica. E’ la riedizione pura e semplice del Mito della Resistenza: fondativo della Repubblica “materiale” non meno della sua Costituzione. Un mito divisivo per definizione e scopo strategico. Un mito che attraversa la storia italiana dalla lotta partigiana (che Indro Montanelli chiamava “guerra civile”) fino alla difficile estate 1960, che ebbe Genova come epicentro; dagli “anni di piombo” fino al G8 del 2001 ma anche all’estate 2021 in Val di Susa (dove pochi giorni fa un posto di blocco improvvisato da irriducibili no-Tav voleva impedire il transito a un piccolo autotrasportatore).

E’ un’operazione non sorprendente. Il cambio di governo – con il rientro di Lega e Forza Italia nella maggioranza – e la lenta normalizzazione di tutti i confronti sociopolitici nel sistema-Paese in vista della scadenza elettorale del 2023, rimette la sinistra italiana di fronte a una dura realtà: la sua obsolescenza minoritaria, evidente perfino nei 18 mesi del governo giallorosso. E questo al culmine di un decennio in cui la sinistra “ufficiale” (il Pd sostenuto da un vasto establishment finanziario, mediatico e soprattutto giudiziario) ha governato il Paese sempre virtualmente con “pieni poteri” ma sempre senza una reale legittimazione politico-elettorale.

Una sinistra prima scavalcata e poi zavorrata dal populismo autodistruttivo di M5S annaspa ora fra battaglie avulse dall’emergenza socioeconomica portata dalla pandemia; e miti-rifugio puramente mediatici: improvvisati nel giro di una notte in redazioni popolate di cinquantenni convinti di trattenere almeno gli e-lettori coetanei con “biopic” generazionali. Non che nel breve termine non possano sortire qualche risultato: il mito dell’Odio Nero costruito attorno alla senatrice a vita Liliana Segre è stato certamente fondamentale per la vittoria “patriottica” del centrosinistra alle elezioni regionali in Emilia Romagna. Ma ha anche rivelato i limiti del maneggio politico di queste armi nel ventunesimo secolo. La “resistenza ora e sempre” della senatrice è stata perdente, due anni dopo, nella difesa parlamentare del premier Giuseppe Conte, “punto di riferimento dei progressisti italiani”. E poi – come tutti i miti – anche il suo si è rivelato come minimo contraddittorio alla verifica della sua origine: la senatrice stessa ha dovuto prendere le distanze dal (presunto, anzi: falso) evento fondativo del mito (l’invio di 200 messaggi “hate” al giorno nella sua casella di posta elettronica).

Neppure il “mito del G8” sembra sfuggire a un doppio “check” storico. Il primo – strutturale – è suggerito dal calendario geopolitico: il prossimo G20 è in programma a Roma il 31 ottobre. Lo presiederà Mario Draghi, a capo di un governo italiano di unità nazionale di cui fa parte anche Fi, guidata da Silvio Berlusconi, premier al G8 di Genova. La governance globale reale continua: totalmente anti-mitologica, per definizione sgradevole nelle forme e insoddisfacente negli esiti (“La democrazia – diceva Churchill – resta il peggiore dei sistemi politici, salvo tutti gli altri”). I miti antagonisti intanto si bruciano sempre più in fretta. I gilet gialli non hanno devastato irreparabilmente Parigi come nel 1789; gli xenofobi tedeschi non hanno conquistato il Reichstag; Fidel Castro ha potuto a stento morire nel suo letto all’Avana; Julian Assange in meno di un decennio si è trasformato da hacker-eroe in ricercato del #metoo. Mentre il Covid ha contagiato anche il mito profondamente anti-tecnologico di Greta, si è consunto anche il mito più potente del ventunesimo secolo, esploso due mesi dopo il G8 di Genova nei cieli di New York: l’Islam non è riuscito – almeno finora – nell’intento di un “revenge” millenario contro l’Occidente cristiano.

Del tragico G8 2001 – nella società istantanea dell’immagine – resta una foto. Ritrae l’attivista antagonista Carlo Giuliani che – mascherato in uno scenario di guerriglia urbana – si dirige imbracciando una grossa bombola verso una camionetta della polizia con i vetri sfondati. All’interno si scorge un poliziotto che impugna una pistola: pochi istanti dopo l’arma sparerà e ucciderà Giuliani. Su questo fatto e su quelli che sono seguiti in quelle ore e da quella giornata è doveroso che gli italiani riflettano anche oggi: come su tutte le memorie collettive del Paese. Ma non sui miti costruiti per rivendicare false superiorità etico-politiche. Per impedire agli italiani di guardare in faccia e fronteggiare le sfide reali del presente: che la sinistra italiana non ha più la forza, il coraggio, l’autorevolezza di affrontare.         

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