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Home » Esteri » Europa » SPILLO/ Se Schlein e il “macroniano” Prodi usano la guerra (e la Cina) per prepararsi alle politiche 2027

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SPILLO/ Se Schlein e il “macroniano” Prodi usano la guerra (e la Cina) per prepararsi alle politiche 2027

Nicola Berti
Pubblicato 9 Marzo 2025
Schlein e Prodi, Pd

Elly Schlein con Romano Prodi, convegno Pd per David Sassoli (ANSA 2025, Ettore Ferrari)

Chi l’avrebbe detto che la “guerra” europeista di Macron si intreccia con le manovre tra Colle e Nazareno in vista delle elezioni politiche 2027?

Romano Prodi contrordina all’Europa di guardare all’Oriente cinese, voltando le spalle all’Occidente americano. Non stupisce: l’ex presidente della commissione Ue è da anni un pontiere professionale con Pechino lungo la Via della Seta, anche dopo il congelamento annunciato dal governo Meloni. L’ultima missione, recentissima, lo ha visto al traino stretto del presidente della Repubblica Sergio Mattarella – suo storico compagno di partito – in visita ufficiale in Cina nel giorno in cui gli Usa eleggevano presidente Donald Trump.


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Quello stesso 5 novembre a Pechino il presidente di Stellantis John Elkann – lui pure al seguito – ha inaugurato una cattedra universitaria appositamente creata per Prodi, fan storico dello statalismo economico. Collaterale alla Regione Emilia-Romagna di Stefano Bonaccini, l’economista bolognese ha fra l’altro sponsorizzato senza successo lo sbarco nella Motor Valley padana della Silk Faw, produttore cinese di supercar.


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L’appello filocinese dell’ex premier dell’Ulivo è però nell’occasione ben rivestito di argomenti geopolitici. È comparso sullo stesso column del Messaggero dal quale, nell’agosto 2019, Prodi lanciò in Italia il “governo Ursula”, quando Mattarella dal Quirinale soffiava già nelle vele del ribaltone ordito per espellere la Lega dal governo.

Il Pd aveva perso nettamente sia il voto politico del 2018 che quello europeo, mentre M5s aveva visto dimezzare il consenso a vantaggio della Lega. Ma proprio per questo nell’Europa di Angela Merkel ed Emmanuel Macron era scattato l’allarme rosso. E il ribaltone trasformista pilotato a Roma a vantaggio di Giuseppe Conte (appoggiato peraltro anche da Donald Trump 1) apparve nei fatti il primo atto dell’eurolegislatura von der Leyen 1.


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Oltre a tornare nella stanze del potere in Italia, i cattodem trassero profitto ulteriore con l’assegnazione della presidenza dell’Europarlamento a David Sassoli, vicino alla Comunità di Sant’Egidio, poi prematuramente scomparso.

Quel primo “cordone sanitario” steso da popolari, socialdemocratici, liberali e verdi contro l’avanzata elettorale delle destre europee ha però retto la prova con fatica sempre maggiore, nella Ue e nei singoli Paesi-membri. I dem italiani – che non hanno mai vinto veramente un voto democratico dalla loro nascita – sono stati relegati due anni fa all’opposizione dalla prima premier donna, leader della destra conservatrice.

Il Pd si è così arroccato su un Quirinale sempre più “semipresidenzialista di fatto”, mantenuto a Mattarella dal contrasto – anche prodiano – alla candidatura iper-europeista di Mario Draghi. Ma è una presidenza-bis che continua a muoversi sul crinale sottile tra ruolo istituzionale e movenze politiche (l’ultimo controcanto sul fronte geopolitico ha avuto luogo pochi giorni fa in Giappone, quando Mattarella ha voluto esprimere con assertività autonoma una “posizione dell’Italia” sulla crisi ucraina, poche ore dopo che Meloni aveva portato al Consiglio Ue quella del governo italiano in carica su ReArm).

In Europa, intanto, si agita Macron, cui Mattarella ha voluto legarsi personalmente tre anni fa con il Trattato del Quirinale. Per due anni ancora Macron sarà presidente di una Francia cui lo stesso Prodi ha sempre guardato con simpatia nettamente maggiore rispetto alla Germania (ha Dna prodiano Sandro Gozi, appena rieletto europarlamentare in Francia nelle liste liberal-macroniane).

Macron, tuttavia, non è più quello del 2019: è stato rieletto a fatica nel 2022 e l’anno scorso ha perso nettamente in casa sia le elezioni europee che quelle legislative. Ha ancora la delega alla politica estera, ma non controlla più il governo Bayrou (un cattolico centrista appoggiato in modo decisivo dalla destra gollista e lepenista). Non può più contare sulla Ue: dove Ursula 2 ha dovuto aprire la sua maggioranza all’eurodestra meloniana e ha messo “sub iudice” i disastrati conti pubblici francesi. La stessa leadership di Christine Lagarde alla Bce – mai davvero autorevole – ha quasi consumato l’intero mandato.

Di qui lo sforzo di de-strutturazione della Ue che connota l’attivismo frenetico dell’Eliseo: culminato nel vertice “multicolore” nella Londra Brexiter, dichiaratamente votato da Macron alla “resistenza” all’America trumpiana. E se il Consiglio Ue ha dato un via libera preliminare a ReArm – in una prospettiva di cessate il fuoco fra Russia e Ucraina –, Macron è fuggito in avanti in direzione contraria. Continua a offrire all’Europa la nuova dominanza di un ombrello nucleare francese (300 testate contro le oltre 5.500 statunitensi e le 6mila russe) quando comunque il premier polacco Donald Tusk ha già chiesto di potersi dotare di un proprio arsenale atomico.

È comunque con i Mirage forniti direttamente Parigi – senza coordinamento Ue – che Volodymyr Zelensky sta tenendo viva un’ultima resistenza ucraina, essenzialmente mediatica, dopo lo scontro dello Studio Ovale con Trump, nei giorni in cui gli Usa hanno tagliato a Kiev ogni aiuto militare e premono con decisione anche sulla Russia per una tregua.

Il presidente francese – oggi guerrafondaio allettato da 800 miliardi che la Ue dovrebbe spendere a nuovo debito – è lo stesso che nei primi mesi della guerra russo-ucraina telefonava quotidianamente a Vladimir Putin. Il Cremlino “non andava umiliato” e bisognava offrirgli mediazioni, segnalava l’Eliseo, mentre la Nato guidata dagli Usa dem di Joe Biden obbligava l’Europa a sostenere la guerra.

In quella fase a Macron non mancò il tempo per una plateale missione in Cina, finita agli annali per una spregiudicata riaffermazione di non ingerenza sul caso Taiwan, graditissima a Xi Jinping proprio quando saliva la tensione con gli Usa. Per la cronaca: con Macron era volata a Pechino anche von der Leyen, che però venne “umiliata” (così riferirono i media) anche per aver ribadito la posizione europea sull’indipendenza di Taiwan.

Prodi disamorato della Ue  – per quanto guidata da “Ursula 2” – sempre pronto a scherzare col fuoco cinese in quanto neo-resistente verso gli Usa, non sembra troppo diverso da Macron: anatra azzoppata forse in modo irreparabile, ma per questo – ha paventato il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov – capace di tutto, anche di “atti irresponsabili”.

Sullo sfondo politico italiano è intanto intuibile un distinto passo da parte di Prodi: il tentativo di recuperare “da sinistra” lo scatto in fondo inatteso della segretaria Pd Elly Schlein, che ha subito contestato frontalmente ReArm.

Agli osservatori è subito parsa visibile la convergenza tendenziale fra Schlein e Conte: leader di M5s, forza da sempre contraria all’intervento Nato a fianco dell’Ucraina e tuttora animata di “spirits” antagonisti a tutto campo (pacifisti e quindi anti-americani; ecologisti e quindi anti-militaristi; supporter della più alta spesa pubblica in welfare). La leader Pd è parsa quindi alimentare la sintonia con M5s in un “campo d’opposizione” in assestamento, del quale fa parte ovviamente anche Avs.

L’esito sarebbe il virtuale avvio di lunga campagna elettorale verso il voto 2027. E non è escluso che ciò avvenga con la carta coperta di Conte come candidato premier non sgradito agli Usa odierni, a differenza di Schlein, che ha passaporto americano ed è stata attivista pro Obama-Biden. È in ogni caso una prospettiva visibilmente contraria a quella disegnata nelle ultime settimane dal centro cattodem, che su spinta di Prodi – e tacita di Mattarella – ha messo in campo i nomi di Ernesto Maria Ruffini e dell’ex premier Paolo Gentiloni.

Il tatticismo di Prodi sfodera ora la carta cinese, strizzando l’occhio al noto favore con cui M5s – ex partito di “GrilloMao” – ha sempre guardato a Pechino (non da ultimo quando ministro degli Esteri è stato lo stesso Luigi Di Maio). Ma anche per il centrosinistra italiano , ormai, sembra tempo di strategia. E Schlein è uscita da un ambiguo “né/né”, affermando in modo tempestivo che al suo Pd l’Europa di ReArm non piace: è andata appositamente e registrare la posizione presso il presidente socialista del Consiglio Ue, il portoghese Antonio Costa, e presso un ormai raro premier europeo di centrosinistra come lo spagnolo Pedro Sánchez.

Contro “i mercanti di armi” si è del resto espresso subito l’Osservatore Romano, mentre anche la Cei appare molto pensosa. Difficile che Prodi abbia comunque la forza di posizioni forti e chiare sulle questioni centrali e sostanziali, diversamente da quanto avviene per l’antitrumpismo di principio e la generalissima evocazione dell’opportunità-Cina.

Un primo chiarimento è atteso fra sei giorni, alla grande manifestazione “della sinistra per l’Europa” chiamata da Repubblica. Il manifesto di un giornale anche prodiano continua a incitare l’Europa “democratica” al più fiero anti-trumpismo, ma nel frattempo ha dovuto precisare – in corsa e con qualche imbarazzo – di non voler contestare la Ue del “riarmo difensivo”. Che è poi la stessa del piano auto e del primo allentamento delle scadenze della transizione verde.

 

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