SPREAD & MERCATI/ La paura di Jackson Hole ricorda il ritorno alla “normalità”
Ieri il rendimento del decennale italiano ha fatto registrare il maggior incremento giornaliero degli ultimi dodici mesi. Proprio alla vigilia del simposio di Jackson Hole

Ieri il rendimento del decennale italiano è salito di quasi 100 punti con il maggior incremento giornaliero degli ultimi dodici mesi. Anche i titoli di stato francesi, tedeschi e inglesi hanno avuto incrementi giornalieri degni di nota anche se in misura inferiore. È un movimento che non si può non notare anche se arriva dopo molti decrementi e siamo vicini ai minimi di sempre. È impossibile non mettere il rialzo in relazione all’incontro che si tiene in questi giorni a Jackson Hole e in particolare a quanto dirà il presidente della Federal Reserve domani.
Il movimento sembra riflettere la preoccupazione che la politica monetaria della Fed che tiene in piedi tutto, inclusi Europa e mercati finanziari, possa cambiare rotta. A quel punto il mercato dovrebbe fare i conti con l’esplosione dei debiti statali e privati che ci hanno lasciato 18 mesi di pandemia e lockdown e dovrebbe cominciare a pensare secondo categorie diversissime da quelle che sono in campo dall’anno scorso. Il mercato dovrebbe incorporare riflessioni molto più fondamentali che tengano conto dei livelli di debito e della resilienza degli Stati, delle organizzazioni sovranazionali di ogni ordine e grado la cui solidità è intimamente legata a variabili – esercito, coesione sociale, proiezione geopolitica, solidità dell’economia ai problemi sulle forniture globali – che il mercato ha solo deciso di ignorare in un contesto di pace finanziaria in cui tutto è concesso: anche stampare deficit consecutivi impensabili fino a tre anni fa.
La “scusa” perfetta è l’inflazione che morde molto di più di quanto non dica qualsiasi cifra ufficiale. I prezzi del gas in Europa sono ai massimi di sempre e il quadruplo di quelli di un anno fa e non è nemmeno iniziato l’inverno. Poi c’è il capitolo sui prezzi alimentari, in ogni parte del globo, sulle quotazioni immobiliari e così via.
L’Europa sia nel 2008 che nel 2012, con la crisi dei debiti sovrani, è rimasta in piedi perché ha potuto esportare contando su una valuta artificialmente svalutata, sul dollaro forte e in ultima analisi sui consumatori degli altri Paesi. È un fatto incontestabile che l’Europa sia uscita dalla crisi anche, e in misura rilevante, grazie a una mega svalutazione sul dollaro mentre la Fed rimaneva la banca centrale di ultima istanza perché alla base dell’euro non c’è, per dire, l’esercito americano. Senza i dollari della Fed i guai sarebbero stati molto più grandi.
Oggi le catene di fornitura globali e le esportazioni sono saltate e a dircelo non è qualche oscuro “outlet”. Per esempio due giorni fa il membro del cda di Bosch, Harald Kroeger, ha spiegato a Cnbc che “le catene di fornitura di semicondutorri nel settore auto non funzionano più”. I prezzi dei noli marittimi sono ai massimi di sempre. Esportare e vivere di esportazioni è diventato molto complicato per tutti. Certo i lockdown, purtroppo, aiutano a tenere bassa la domanda, ma bisogna trovare qualcuno che finanzi i debiti.
Nessuno sa cosa ci riserva il futuro e tantomeno quello che dirà Powell domani. Il mercato, però, sembra avere molto ben presente cosa potrebbe succedere se il paradigma dovesse cambiare e la conflittualità sui mercati aumentare. Dopo un anno e mezzo di pandemia bisognerebbe tornare come nel 2008 e nel 2012 ai fondamentali più sostanziali. Solo che questa volta quelle valvole di sfogo non ci sono più. In uno scenario nuovo i principali attori globali penserebbero alla sopravvivenza e si scoprirebbe molto presto, con la marea che si ritira, chi è fragile e chi meno dal punto di vista economico-finanziario e non solo.
Niente di tutto questo deve necessariamente accadere, ma il raro spiraglio di ieri ha già avuto il merito di ricordare a tutti “come stanno le cose”.
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