Negli ultimi giorni, forse complice la penuria di notizie, si sono potuti leggere molti commenti in cui si sottolineava il “calo dello spread” che ha raggiunto i minimi degli ultimi quattro anni. È giusto evidenziare questo andamento, ma non si deve dimenticare il contesto in cui avviene altrimenti si racconta una “mezza verità”. Il rendimento del decennale italiano oggi è intorno allo 0,5% e ai minimi assoluti, ma questo avviene in un contesto ben preciso. Il rendimento del decennale italiano, infatti, è ancora il secondo più alto d’Europa, appena dietro quello greco, e molto superiore a quello di Spagna e Portogallo; il rendimento del decennale francese era già negativo un anno fa.
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Questi fenomeni, senza precedenti, avvengono in una fase in cui le banche centrali hanno percorso territori inesplorati nel tentativo di sostenere i mercati finanziari e l’esplosione dei debiti statali; questi si gonfiano sia per il crollo delle entrate fiscali, a causa delle chiusure imposte, sia per i numerosi sostegni e sussidi con cui si cerca di evitare che ampie fasce della popolazione debbano confrontarsi con una povertà estrema e forse di prevenire tensioni sociali.
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In Europa è la Banca centrale europea che si è assunta l’onere di congelare i problemi in attesa che le restrizioni rientrino e l’economia e la società possano, più o meno, tornare a vivere. Fare previsioni sulla durata e la “temperatura” di questo congelamento è complicato, ma già ora si fatica a immaginare quanto ancora possano andare in negativo i rendimenti.
La questione per noi italiani è se dobbiamo gioire per il calo dello “spread” oppure se dobbiamo chiederci come mai, persino in una fase di interventi eccezionali delle banche centrali, il rendimento sia ancora anomalo rispetto a economie “equiparabili” e soprattutto sia così vicino a quello greco. Rispondere a questa domanda è fondamentale per capire cosa accadrà se e quando la politica monetaria verrà normalizzata oppure, nel caso europeo, se dovessero emergere frizioni tra gli Stati membri sui piani di rientro o sull’uso della moneta comune.
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Quello che è certo è che il mercato prezza un’eccezionalità rispetto a tutti gli altri Paesi membri e sostanzialmente continua a mettere l’Italia, solitaria e non più accompagnata da Francia, Spagna e Portogallo, in un gruppo a due con la Grecia. Questa è la notizia molto più che la compressione dello spread che si produce “in automatico” con le attuali politiche monetarie. In altre parole, il dato che dovremmo cogliere forse è un altro; perché l’Italia fa il paio con la Grecia? Perché continua a rimanere ben indietro sia a Spagna e Portogallo?
Per rispondere a questa domanda dovremmo addentrarci nei dati che emergono dall’economia reale e nei “piani di rilancio” che il Governo sta valutando e chiederci cosa scontino veramente gli investitori avendo sempre ben in mente il contesto finanziario particolarissimo in cui si muovono i rendimenti delle obbligazioni statali. Queste riflessioni nel dibattito italiano oggi non hanno spazio perché oscurate dalla cronaca sull’evoluzione della pandemia. Non sappiamo quanto dureranno pandemia e restrizioni, ma si suppone che a un certo punto, o per i vaccini o per l’immunità di gregge, finiranno. A quel punto le domande che non ci stiamo facendo oggi saranno ineludibili e magari occuperanno la scena con la stessa imprevista velocità con cui l’ha occupata la pandemia.
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