Le Borse crollano per i timori di una guerra commerciale. Ma sui mercati a scottarsi le dita sono stati i piccoli risparmiatori

Ovviamente i titoli se li prendono i tonfi di Borsa. Ma il fatto che nel day after del Giorno della liberazione, Donald Trump abbia chiaramente detto di essere già pronto alla trattativa, parla chiaro. E conferma la mia tesi espressa nell’articolo di ieri.

Il problema è proprio questo: giornate come quella di giovedì oscurano fenomeni che invece andrebbero decisamente analizzati. Per capire. Ma anche per stare in guardia di fronte a un mondo – quello dei mercati – che in apparenza si vende come prateria di opportunità, ma, alla prova dei fatti, nove volte su dieci vede confermata la regola aurea. Ovvero, vince sempre il banco.



Date un’occhiata a questo grafico: nel mese precedente alla tosatura storica del 3 aprile, la clientela retail ha comprato titoli azionari ed Etf statunitensi a un ritmo e per un controvalore mai registrato da quando si traccia la serie storica. Tradotto, ciò che hedge funds e Cta scaricavano poco lontano dalle valutazioni ancora sui massimi, veniva comprato da Mr. Smith. Certo di aver fatto un affarone. Oggi si lecca le ferite.



Investire non è uno scherzo. E nemmeno la versione chic del Superenalotto. Pensare di poter gestire flussi azionari in un mercato totalmente manipolato da algoritmi, derivati e Banche centrali comodamente seduti sul divano di casa appartiene alla categoria del wishful thinking. Non peraltro, perché occorre sapere quando uscire. Perché l’entrata è fin troppo segnalata. Spesso da giornalisti che dimenticano quale sia la deontologia professionale e il conflitto di interessi. D’altronde, basta dare un’occhiata ai moderatori e agli ospiti d’eccezione di molte convention aziendali per capire quale possa essere il grado di libertà di giudizio che potranno poi applicare al loro lavoro. Magari in rubriche di consigli d’investimento…



Ora, però, andiamo oltre. Perché se Mr. Smith si fa fregare, occorre essere consci del fatto che il Sistema non abbia la simbolica partita già in testa. Un Sistema che si comporta così, lo fa perché senza barare non è in grado di vincere. Solo di calciare in avanti il barattolo. Aspettando l’ennesimo miracolo sotto forma di Qe o affine.

Date un’occhiata a questo secondo grafico, il quale ci mostra come nel caos dei crolli azionari che riempivano siti, tg e social, le bullion banks abbiano messo l’overdrive alla loro operatività ribassista su derivati dell’argento. Rispedendo brutalmente la quotazione lontano dalla quota di breakout dei 35 dollari l’oncia.

Perché quando l’allarme e la grancassa ci dicono che il rischio non sarà rappresentato più da inflazione e guerra, bensì da recessione e rischio di un conflitto commerciale che paralizzi la crescita e, soprattutto, tratti come foglie d’albero durante una tempesta il comparto azionario, l’attenzione si sposta dai beni rifugio come i metalli preziosi. Si va sull’obbligazionario.

Esattamente ciò che gli Usa vogliono per la loro arcinota necessità di rifinanziare debito in scadenza da qui all’autunno. Casualmente, proprio ieri il Treasury a 10 anni è sceso sotto il 4% per la prima volta dallo scorso ottobre. E Cnbc ha sdoganato la parola recessione in un titolo. Ma voi lo sapevate già, voi l’avevate già letto. Qui. Per giorni invece abbiamo preso atto di ridicoli reportage dalle fonderie del Canton Ticino, quasi ormai l’oro fosse destinato a finire nelle nostre tasche per i pagamenti di beni essenziali. Un po’ come accaduto a Bitcoin, quando Donald Trump annunciò in pompa magna il Fondo di riserva federale in crypto. Avete più sentito un fiato al riguardo? In compenso, state tenendo d’occhio la valutazione di Bitcoin nelle ultime tre settimane?

Occorre stare attenti e vigili, se si vuole davvero capire ciò che il mercato vuole dirci in codice. Altrimenti, il rischio è quello di finire come un cobra sulla piazza di Marrakech: incantato dai soliti pifferai. Infine, guardate quest’ultimo grafico, quello forse più importante.

Cosa ci mostra? La correlazione fra calo nella disponibilità del Tga, il conto corrente federale Usa e l’indice Standard&Poor’s 500. Il primo è passato dagli 800 miliardi lasciati in dote da Janet Yellen agli attuali 316 miliardi tra fine 2024 e inizio aprile. Il secondo, nel medesimo arco temporale, è passato da 6.000 a 5.396 punti.

Cosa significa? Che quel denaro drenato da Treasury general account per spese correnti o legate a interessi sul debito ha di fatto ridotto la liquidità del mercato equity e di conseguenza la fiducia dei grandi investitori. Proprio quelli che, capito l’andazzo fin dalla fine dello scorso anno, si sono premurati di vendere a Mr. Smith l’ennesima occasione della vita per diventare Gordon Gekko. Una dinamica che, una volta attivato il detonatore dei dazi, ha esacerbato tensioni e leverage di un mercato già in bolla, auto-alimentando tonfi roboanti come quello di giovedì.

Morale della favola? Il mercato azionario è talmente liberista e liberale che, di fatto, vede i suoi corsi dipendere quasi a livello di specchio dalle disponibilità di spesa statali. Quando manca la Fed, occorre arrangiarsi. Ricordate i vasi comunicanti del reverse repo, di cui vi ho parlato decine di volte? Bene, questa è solo l’altra faccia di quella medesima medaglia.

Tutto questo sta accadendo ora, sotto i nostri occhi. Anzi, in parte è già accaduto. Vi siete accorti di qualcosa, forse? Ed è proprio su questa inconsapevolezza indotta che basa la sua strategia di partita il Sistema. Sia quando si limita a tirarti il pacco azionario prima di un prevedibile crollo, sia quando immerge il mondo in clima ansiogeno di Terza guerra mondiale o conflitto commerciale. Mentre, dietro le quinte, si fa pulizia.

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