Ci sono dei segnali interessanti dai mercati che arrivano in questi giorni e che non andrebbero sottovalutati

Martedì 12 agosto il decennale giapponese ha segnato zero a livello di negoziazione. Morto. Encefalogramma piatto. Il titolo benchmark di quello che fino a 15 anni fa era il mercato obbligazionario più trafficato del mondo non ha avuto alcun tipo di movimentazione sul secondario. No bids. L’ultima volta che era accaduto è stato nel marzo 2023. Mentre Credit Suisse si preparava a implodere.



Ieri, 13 agosto, l’asta di titoli di Stato giapponesi a 5 anni ha registrato la domanda più bassa dal 2020. Insomma, l’effetto placebo di 16 interventi sul collaterale in dollari da parte della Bank of Japan dal 29 luglio a oggi è già svanito. Ha schermato alla bene e meglio le due aste a lungo termine, quelle a 10 e 30 della scorsa settimana. Poi, ci si è arresi al Re nudo.



Reazione del Nikkei a questo mezzo disastro obbligazionario nella seduta di ieri? Questa. Record assoluto.

Nel frattempo, un sondaggio di Axios rendeva noto come per il 53% dei cittadini americani interpellati, le spese in drogheria rappresentino una fonte di stress elevato. Dro-ghe-ria. Contestualmente, il ministro delle Finanze, Scott Bessent, auspicava per il mese di settembre un taglio dei tassi di 50 e non soli 25 punti base da parte della Fed.

Insomma, cosa attendersi da questo tipo di mercato azionario nella settimana dominata dalla politica e dall’incontro Trump-Putin di domani? Parecchio, nonostante tutto. Più che altro, a livello di segnali.



Il Presidente Usa è tornato a minacciare dazi al 100% sui semiconduttori entro Ferragosto, tanto da aver già esentato i produttori di Taiwan e garantito il via libera a Nvidia per l’esportazione di chip in Cina. E stante il peso di quel comparto, chiaramente nessuno potrà ignorare le mosse della Casa Bianca. Più che altro, la decodifica fra ennesimo bluff e reale entrata in vigore di quello che si sostanzierebbe come primo, vero atto sostanziale nella guerra tech.

E se il Financial Times anticipava come Pechino stessa fosse pronta a un alleggerimento dei controlli sull’export di terre rare, alla chiusura di venerdì scorso Nvidia pesava per l’8% dell’intero Standard&Poor’s 500. Insomma, deterrenza in purezza. Poiché l’esplosione della bolla AI, oggi come oggi, rappresenterebbe un’arma di mutua distruzione di massa.

Ma allora, come va letta la decisione della Cina di bloccare le importazioni di chip H20 di Nvidia per ragioni di sicurezza nazionale? Forse come risposta al fatto che, caso più unico che raro al di fuori di Paesi in cui è in vigore una pianificazione socialista dell’economia, gli Usa hanno imposto alla stessa Nvidia e ad Amd la cessione del 15% delle loro revenues di vendita sul mercato cinese per ottenere in cambio il via libera all’export. E non sto scherzando. Una semplice ricerca con le parole chiave vi dimostrerà come questo scenario da Fantasilandia sia realtà. Nella presunta Patria del libero mercato. E i cui indici azionari sono guardati come oracoli.

Quale mercato stiamo analizzando, quindi? Questo. Un mercato che, mentre gli insiders vendono a badilate il rally record di luglio, vede i primi 10 titoli di Wall Street pesare per il 76% della capitalizzazione totale e che, soprattutto, vede l’inflow nei Money Market Funds (Mmf) al massimo storico assoluto di 7,4 trilioni di dollari.

E qui subentra il ragionamento forse più prospetticamente interessante. Una volta calati i tassi di interesse (e stante ai desiderata di Bessent, in virtù di un taglio in modalità jumbo), una parte sostanziale di questo colossale tesoretto rinchiuso nei Mmf tornerà nelle equities. Di fatto, garantendo fin da ora un Spx sempre più in alto. Ancora più in alto dello Standard&Poor’s 500 a 6.400 punti.

Passo indietro. La scorsa settimana, di colpo, JP Morgan aveva stupito tutti, sentenziando quale fosse la sua attesa da qui a fine anno: quattro tagli dei tassi. quattro. E calcolando che la prossima riunione del board sarà a metà settembre, questo implica un quarto di punto ogni mese fino a fine anno. O, magari, un jumbo-cut da 50 punti base e poi tre da 25 punti base? E guarda caso, il Tesoro la sposa in toto! Di fatto mettendo fin da ora con le spalle al muro il povero Jerome Powell, crocifisso anche dall’ultimo dato sull’inflazione frazionalmente più basso delle attese.

Ma occorre fare i conti con alcune logiche da vaso comunicante. Ad esempio, gli 850 miliardi che Scott Bessent vede come livello ottimale di refill del Tga, il conto corrente federale per le spese correnti che si rimpolpa a colpi di emissioni obbligazionarie. Le quali, di conseguenza, drenano implicitamente cash dall’azionario. A oggi la quota è di 400 miliardi più i circa 60 ancora giacenti sulla facility di reverse repo della Fed di New York.

In linea teorica, Wall Street dovrebbe fornire altri 380-390 miliardi. Quindi? Correzione da 5-10% in settembre/ottobre e poi V-shape verso nuovi massimi sostenuti appunto da Fed che taglia e Mmf che offre sostegno di liquidità con miliardi e miliardi diretti verso Wall Street in ossequio al maxi-taglio previsto da JP Morgan? Lo scenario sembra apparecchiato.

Ma attenzione, l’appuntamento con la riunione di Jackson Hole del 21-23 ora diverrà dirimente per capire quanto quello di JP Morgan sia un wishful thinking di natura auto-avverante e quanto invece Jerome Powell intenda realmente cedere alla tentazione di un addio definitivo alla data-dependency inflattiva, concentrandosi magari sui numeri a dir poco oscillanti (eufemismo per manipolati) delle non-farm payrolls in regime di perenne revisione. Esattamente come vorrebbe la Casa Bianca.

Per finire, attenzione all’Europa. Questo grafico ci mostra come i titoli tecnologici europei abbiano perso il treno dell’euforia da AI, stante utili che rispetto ai colleghi d’Oltreoceano hanno totalmente mancato l’appuntamento.

I 100 miliardi di fondo strategico tedesco appena annunciati dal Governo Merz e incentrati in parte proprio sulla questione AI, saranno il detonatore per una nuova leg di crescita del Dax? In tal senso, il combinato con un epilogo positivo dell’incontro fra Putin e Trump in Alaska che consolidi l’aumento già registrato dal Reconstruction Index di Ubs al solo annuncio del faccia a faccia tra i due leader, potrebbe generare un supporto rialzista notevole per l’indice tedesco.

In caso contrario, Berlino con il suo benchmark cadrebbe comunque in piedi, stante l’impegno di riarmo sostenuto dal Governo e che vede sempre più probabile una riconversione di massa dall’automotive al warfare. Quel gap con gli Usa va colmato. E la Commissione europea potrebbe tramutarsi nel broker di questa recouple con il suo ReArm Europe in combinato con l’accordo in sede Nato per stanziamenti di difesa al 5% del Pil.

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