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Home » Economia e Finanza » Economia UE » SPY FINANZA/ Dax, Taiwan e i segnali preoccupanti sulla recessione evitata

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SPY FINANZA/ Dax, Taiwan e i segnali preoccupanti sulla recessione evitata

Mauro Bottarelli
Pubblicato 2 Febbraio 2023
La sede di TMSC a Hsinchu, Taiwan (Lapresse)

La sede di TMSC a Hsinchu, Taiwan (Lapresse)

C'è chi tira un sospiro di sollievo dopo le previsioni del Fmi, ma c'è poco da star tranquilli a leggere alcuni dati che arrivano da Taiwan

E dopo quei mattacchioni del Fmi, è stato il turno di Eurostat. A fronte di attese per una contrazione dello 0,1%, l’economia dell’Eurozona nel quarto trimestre del 2022 è cresciuta dello 0,1%. Consensus generale dei titolisti di tutta la stampa: recessione scampata.

I più cauti, invece, azzardano comunque un suo allontanamento. O, almeno, un soft landing. Ieri, poi, un provvidenziale calo dell’inflazione, proprio mentre a Francoforte si prendeva posto attorno al tavolo del board Bce. Ora, i dati sono una bella cosa. Ma occorre leggerli. Sia disaggregandoli, sia ponendoli in prospettiva rispetto alle politiche fiscali e monetarie. E cosa scopriamo dal dato del Pil reale dell’eurozona del quarto trimestre del 2022? Ce lo mostra questa immagine: che la crescita è stata dello 0,12% su base trimestrale ma, soprattutto, che scorporato il dato dell’Irlanda, quel risultato scende a -0,02%.


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Insomma, le distorsioni dei comparti pharma e tech di un’economia ridotta nelle dimensioni e fiscalmente dopata come quella dell’ex Tigre celtica garantiscono l’ennesimo gioco di ombre. Ora la questione è duplice, appunto. Primo, prendendo anche per buono quel dato Eurostat, chiunque – armato di buonafede e un minimo di conoscenza economica – sa che non si tratta di crescita ciclica sostenibile nel medio termine, bensì unicamente il rimbalzo da gatto morto dato da un mix di manipolazioni. Nella fattispecie, appunto il regime da aliquote agli steroidi dell’Irlanda su settori sensibili e le misure di sostegno messe in campo dai vari Governi per tamponare il fall-out di guerra e inflazione lo scorso autunno-inverno. Di fatto, ritenere quella crescita sostenibile equivale a ritenere strutturali delle misure emergenziali e spacca-conti. Impossibile. E irresponsabile.


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Ma c’è di più. Stando all’ultimo report pubblicato da Allianz Trade, quest’anno le aziende tedesche pagheranno l’energia il 40% rispetto al 2021. A detta di Allianz, lo shock energetico più grande deve ancora arrivare per il settore corporate europeo. E come lo si affronta? Con una Bce in cerca d’autore e che difficilmente potrà snobbare i dati dell’inflazione, una crescita economica dell’eurozona dello 0,1% festeggiata come uno scudetto della Salernitana e prospettive tutte da delineare per quanto riguarda il proseguo della guerra e le sue conseguenze sui dati macro. Per capirci, quelle rappresentato in questo grafico sono le vendite al dettaglio registrate proprio dalla Germania, si tratta della media ponderata a 3 mesi più debole della storia.


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A dicembre, mese normalmente da boom, si è segnato un -5,3% su base mensile! E con un dato simile, il Fmi vede evitata la recessione? E che dire del -0,9% su base trimestrale dei consumi registrato in Francia? O del -1,8% della Spagna sempre nel quarto trimestre, dato che da solo conferma l’inflazione iberica tornata in rialzo al 7,5%, nonostante il crollo dei prezzi del gas, come mostra questo altro grafico.

Il breakdown su base trimestrale relativo al 2022 per l’Eurozona parla di una domanda interna finale a -1,4%. Insomma, un gran caos. Solo una cosa è certa, apparentemente. Ursula von der Leyen avrebbe già detto no a nuove emissioni di debito comune per sostenere la ripresa, poiché non sussistono le condizioni che le rendano necessarie. Sicuri che il nostro spread, al netto di qualcosa come 400 miliardi di debito a medio e lungo termine da rifinanziare solo quest’anno, reggerà una scelta simile nel medio periodo?

E attenzione, perché quel farsesco +0,1% di crescita che apparentemente dovrebbe farci respirare, rischia in realtà di trasformarsi nel chiodo a sigillo della bara in cui riposa la nostra speranza (di per sé, già remotissima) di una qualche forma di Recovery Fund energetico. E di una Bce che parta in quarta con il reinvestimento titoli. Al massimo, aspettiamoci nuove aste Tltro di rifinanziamento bancario a lungo termine. Ma, stante il ritorno delle sofferenze certificato da Il Sole 24 Ore, scordatevi credito a imprese e famiglie. Tanto più che le banche devono comprare Btp.

Cari lettori, il dato delle vendite tedesche parla chiaro: nessuno può sperare in nuovo deficit da farsi finanziare direttamente o debito da monetizzare con sterilizzazioni o emissioni comuni. Insomma, c’è il forte rischio di dover togliere le rotelle alla bicicletta. E già oggi avremo una prima conferma o smentita al riguardo dalle parole di Christine Lagarde. Nell’attesa, guardate questa immagine: rappresenta probabilmente il dato macro più importante in assoluto. Ovviamente, nessuno ne parla. Perché costringe a porsi delle domande. Scomode. E ad alto tasso di reazione epidermica. Tradotto, pelle d’oca.

Ad esempio, qualcuno potrebbe chiedersi come sia possibile parlare di soft landing o recessione ormai evitata, quando il magazzino del mondo noto come Taiwan segna nel mese di dicembre un -25%, il calo peggiore dall’annus horribilis 2009. Ma potrebbe anche suscitare qualche interrogativo riguardo la resistenza in stile teflon del Dax, l’indice di Borsa tedesca iper-dipendente da industria ed export, il quale non solo continua a viaggiare sui massimi, ma un 30% al di sopra del livello generalmente associato a un book value da recessione. Qualcuno, poi, potrebbe addirittura andare oltre, mettendo da parte anche il facile sillogismo legato ai microchip. E chiedersi quanto occorra preoccuparsi, stante lo status ufficioso di Taiwan di campanaccio al collo del re-export dalla Cina. Siamo allo stesso livello di magnitudo della crisi finanziaria post-Lehman. Eppure, nell’aria non c’è nulla di quel periodo buio. Anzi, qualcuno si gingilla con un +0,1% di crescita dell’Eurozona. E se quel qualcuno risponde al nome di Confindustria, poco male. Lo stesso vale per i sindacati. E per il Governo. Ciò che conta sta al di fuori.

Sta – ad esempio – nell’arma finanziaria che una situazione simile rappresenta, al netto di un’invasione cinese che farebbe letteralmente precipitare il quadro. E non serve un’invasione reale, basta la sua percezione. Basta qualche caccia in volo che sconfina troppo. Basta qualche prova di forza in mare. Il titolo della taiwanese TSMC, leader mondiale proprio dei microchip, da inizio anno ha guadagnato il 15%. Martedì, al netto di quel dato, ha perso il 3,87%. Qualcosa sta accadendo? Le esportazioni di Taiwan calano da quattro mesi di fila. A dicembre sono scese del 12,1% su base annua e quelle verso la Cina del 16,4%.

Commentando il dato, il ministro delle Finanze, Chuang,Tsui-Yun, ha confermato di attendersi un perdurante peggioramento per tutto il primo trimestre, a causa di un significativo rallentamento dell’economia legato alle incertezze attorno a Ucraina e Covid in Cina. La domanda positiva legata a semiconduttori e silicon content nei prodotti finiti non sarà in grado di operare un contro-bilanciamento efficace rispetto a quelle criticità. Parola del ministro delle Finanze del magazzino del mondo. O vi fidate di più di Fmi ed Eurostat?

Davvero possiamo stare tranquilli? Davvero pensiamo che la recessione sia evitata? Davvero crediamo che le Banche centrali non stiano giocando a gavettoni con palloncini riempiti di nitroglicerina? Guardate il Dax, se non volete perdere troppo tempo a seguire gli sviluppi macro che giungono dall’altra parte del mondo. Con le vendite al dettaglio letteralmente crollate nel periodo natalizio e una contrazione nell’ultimo trimestre, cosa dovrebbe garantire un +30% sul book value tipico dei cicli recessivi all’indice benchmark tedesco?

Quale coniglio c’è nel cilindro di Olaf Scholz, lesto nel sottolineare come intenda continuare a parlare con Vladimir Putin? Fossi un esponente del Governo italiano, dormirei preoccupato. Perché se esiste un piano B, passerà certamente dall’agnello sacrificale.

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Tags: RecessioneInflazioneOlaf ScholzEconomia Germania

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