Alla fine della scorsa settimana i mercati hanno ceduto terreno, ma ben presto il rally è ripreso, nonostante le difficoltà economiche Usa
Che cosa ha fatto deragliare il rally di mercato nell’ultima seduta della scorsa settimana? Formalmente, tutto è da attribuirsi al dato sulla creazione di nuovi posti di lavoro negli Usa di luglio, nettamente sotto le attese. Oltretutto, accompagnato dalla drastica revisione al ribasso anche di quelli relativi a maggio e giugno (258.000 unità in meno in totale). Di fatto, la sconfessione della narrativa della forza dell’economia più volte rivendicata da Donald Trump. Non a caso, il Presidente ha reagito con furia, licenziando via X la Commissioner del Bureau of Labour Statistics, rea a suo dire di truccare i numeri dell’occupazione, poiché nominata da Joe Biden.
Sul fronte opposto, in contemporanea annunciava il suo addio alla Fed con decorrenza immediata Adriana Kugler, membro del Comitato chiamato a decidere sui tassi di interesse, mentre il potente numero uno della Fed di New York, John Williams, si diceva aperto a un taglio dei tassi già alla riunione di settembre. Insomma, apparentemente un teatrino. Un gioco delle parti.
Perché al netto dei tweets di fuoco, quei 73.000 posti di lavoro creati in luglio contro l’attesa di oltre 140.000 rappresentano il passepartout per ottenere ciò che Jerome Powell ha negato alla Casa Bianca anche la scorsa settimana: un taglio del costo del denaro, appunto. E la drastica reazione al ribasso di Wall Street rappresenta l’effetto scenico speciale che necessitava per mettere all’angolo una Banca centrale che, per l’ennesima volta, aveva privilegiato nella sua scelta di politica monetaria il contrasto a un’inflazione che mostrava segnali di un colpo di coda.
Ma attenzione, perché non si sa quanto volontariamente, Donald Trump potrebbe aver svelato il segreto di Pulcinella del mercato, esagerando come al solito le sue reazioni. Dopo la sfuriata e i licenziamenti via tweet, ecco che il Presidente paventava l’ipotesi di un dividendo per i cittadini finanziato dagli introiti dei dazi commerciali appena entrati in vigore. Come dire, un’ammissione implicita della necessità di sostegno economico per una componente non certo residuale degli americani. Quasi una contraddizione in termini rispetto all’accusa di falsificare i dati occupazionali per dipingere un’America povera che non ci sarebbe.
Ora, questi due grafici ci mostrano quale sia il best kept secret di questo mercato che la retorica dei record di Wall Street e delle tariffe reciproche pare non riuscire più a mantenere tale.
Dopo il diluvio di sostegni garantiti da Fed e Tesoro nel biennio del Covid, l’americano medio non solo non ha più risparmi. Ma sta sprofondando sempre più nell’indebitamento strutturale per arrivare a fine mese. Lo mostra appunto la dinamica del cosiddetto Buy Now, Pay Later (Bnpl), il sistema di pagamento dilazionato generato per sostenere quei consumi personali che da soli contano per il 70% del Pil statunitense.
Per il 2025, il volume annuale di transazioni legate a questo schema di credito al consumo rateizzato è atteso nell’ordine di 116,7 miliardi di dollari, il doppio del 2022 e 7 volte il dato del 2020. E stando a un sondaggio di LendingTree, oltre il 25% di chi utilizza questa formula di pagamento dilazionato lo fa per pagare spese giornaliere di modesta entità e non per acquisti una tantum di beni durevoli. Ovvero, si spezzetta in tre (pagandoci sopra gli interessi) la spesa da Walmart. E non per il frigorifero.
Nel 2024, quella percentuale era del 14%. Inoltre, quasi un utilizzatore su quattro di schemi Bnpl ha saltato almeno una rata, in netto aumento dal 15% del 2021, stando a dati della Fed.
Il secondo grafico, invece, se possibile appare ancora più allarmante. Poiché ci mostra come proprio le delinquencies (mancati pagamenti di rate e Rid superiori ai 90 giorni) legati a prestiti o credito al consumo stiano colpendo sempre di più la classe medio-alta, in particolar modo chi venta un reddito superiore ai 150.000 dollari l’anno. Categoria che ha visto i mancati pagamenti su rate dell’auto salire al 18% e quelli su carta di credito al 18,3% del totale. Insomma, l’America non sta tutta comprandosi case in Florida con i profitti del rally infinito di Wall Street.
Conseguenze per l’azionario? Bullish. Ovvero, la necessità di rendere digeribile questo scenario di rallentamento economico, al fine di costringere la Fed a politiche di sostegno che la Casa Bianca ha già ventilato tramite l’introito fiscale da dazi. Tradotto, ben prima del voto di mid-term, l’America giocoforza godrà di una nuova alluvione di liquidità elettorale sotto forma di sostegni e detrazioni, quasi certamente a fronte di un ricorso a deficit. E nessuno a Wall Street vorrà perdere questa Bonanza.
Unico rischio? Controllare lo sgonfiamento della bolla tech. Giunta a livelli ancora più parossistici dopo le trimestrali della scorsa settimana, i cui risultati hanno visto anche Microsoft superare i 4 trilioni di capitalizzazione dopo Nvidia. Ma non basta. Perché soltanto 48 ore prima dello scivolone di venerdì scorso, il medesimo mercato che è parso riscoprire la paura, assisteva senza battere ciglio al fatto che nel solo mercato after-hours seguito alla pubblicazione delle trimestrali, Microsoft segnasse +335 miliardi e Meta +213 miliardi di market cap. Ovvero, oltre mezzo trilione di capitalizzazione in più per soli due titoli azionari. E il tutto solo overnight. Più dell’intero market cap europeo, tanto per capirci.
In ottica diametralmente opposta a quella dell’azionario, la reazione del mercato obbligazionario alla doccia fredda sul dato occupazionale Usa è stata quella di un rafforzamento della domanda di bene rifugio storico. Ovvero, i Treasuries, quei titoli di Stato americani da mesi sotto stress a livello di rendimenti a causa del muro di scadenze che da qui a fine anno vede la necessità di rifinanziare 7 trilioni di debito. Emesso in gran parte in tempi di tassi ultra-bassi per l’emergenza Covid. E ora, stante le possibilità di un taglio dei tassi da parte della Fed al board di settembre già salite a quasi l’80%?
In realtà, tutto è potenzialmente già cambiato. Per l’esattezza, a partire dal 28 luglio, come spiegavo in uno degli ultimi articoli. Oggi prima asta-test a lungo termine del Giappone con il titolo a 10 anni, dopodomani quello a 30 anni. E la decisione della Bank of England sui tassi. Entro sabato sapremo qualcosa di più di cosa ci attende da qui al weekend di Jackson Hole. E quanto quella sbandata del mercato sia da considerarsi soltanto l’ennesimo stress test.
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