Vedendo certi segnali vien il sospetto che qualcuno Oltreoceano sta pianificando la sell-off azionaria più breve ma mediatica possibile a tavolino
Lo so, molti di voi pensano che il sottoscritto sia ossessionato da alcuni temi. Tipo il Giappone, materia con cui ammetto di ammorbarvi ciclicamente. O il debito Usa, di cui ultimamente parlo un giorno sì e l’altro pure. O il poco realistico (e molto pericoloso) approccio che ancora l’Occidente sfodera ogni qualvolta si trova a dover fare i conti con la Cina.
La quale, a dispetto della realtà che ci circonda, ci piace ancora percepire, dipingere e trattare come un laboratorio di chincaglieria da sottoscala buio. Roba da lavoro minorile nelle periferie delle nostre città, scena da cucitura palloni da Terzo mondo (attività in cui eccellono, tra l’altro, i marchi occidentali in cerca di lauti profitti da brandizzazione collettiva).
Liberi di farlo, liberi di pensare che mi muova in base a uno schema libero che però gravita attorno a punti fissi. E liberi di continuare a trattare Pechino come una succursale. O, peggio ancora, come un nemico da combattere. Per fare quello, parliamoci chiaro, siamo in ritardo di una trentina di anni. Ormai quel treno di contrasto alla concorrenza sleale non solo è passato, ma è già anche arrivato in stazione.
Vogliamo comunque fare la guerra alla Cina, tanto per fare contenti gli Usa? A nostro rischio e pericolo. Perché quando le pantomime finiscono, tipo la guerra Israele-Iran, quella medesima realtà che occultiamo smette di suonare il campanello. E sfonda la porta come una squadra tattica della Swat.
E in attesa che la prossima settimana Donald Trump si ricordi della scadenza del rinvio dei dazi sull’export Ue del 9 luglio e ricominci la tarantella, già debitamente spoilerata attraverso il casus belli della ribellione spagnola in ambito di spese militari Nato, stante appunto un affaire mediorientale a dir poco demenziale (ripeto, a detta della stessa stampa Usa, salvo quella direttamente agli ordini della Cia), attenzione alla carta che gli Usa stanno giocando sottobanco. E sottotraccia. La mostra questa immagine, a sua volta link su X di un articolo di Bloomberg.

Sia con limitazioni interne verso soggetti come Samsung e il loro mercato cinese, sia appunto attraverso il proxy di Taiwan, Washington sta continuando stuzzicando il cane tech cinese, mentre dorme. A quanto pare, la prima scottatura sulle forniture di terre rare messa in campo da Pechino non è bastata. Qualcuno è forse così pazzo da pensare che la Cina abbocchi all’amo del via libera Nato all’operazione-barzelletta contro l’Iran, decidendo quindi di accelerare l’invasione di Taiwan e garantendo a Usa e soci l’alibi del secolo per la crociata del secolo? Se sì, auguroni.
Ora, in tal senso qualcuno starebbe leggendo la prima assenza in assoluto di Xi Jinping al meeting dei Brics previsto la prossima settimana a Rio de Janeiro e appena ufficializzata dalla presidenza di turno brasiliana. Come dire, qualcosa di molto serio sta bollendo in pentola per arrivare a una simile decisione. E qualcosa di molto imminente.
In tal senso, meglio monitorare, in effetti. Perché Xi Jinping non è uomo da messinscena. Se prende una decisione è perché qualcosa sta per accadere. Ma la questione su cui vi invito a riflettere sta tutta in questo grafico, quasi un’istantanea del supremo azzardo.

Ci mostra il peso dell’AI a livello di rischio/dipendenza delle aziende Usa in base alla ponderazione del paniere settoriale aggiornato di Goldman Sachs. Soprattutto ci interessa il grafico in basso: la voce AI beneficiaries vs At Risk. Ovvero, nulla più che la ratio fra dipendenza e conseguente rischio insito all’aumento smisurato della stessa nelle voci come vendite, utili e outlook.
Non vi pare che la traiettoria, già oggi, sia vagamente parabolica e terribilmente simile a quella del debito pubblico Usa sotto la presidenza Biden? E allora, facendo riferimento diretto a quanto discusso nella prima parte dell’articolo, vi chiedo ancora una volta: continuando questa strategia di logoramento dei nervi politici cinesi su un tema di questa strategicità, qualcuno Oltreoceano sta pianificando la sell-off azionaria più breve ma mediatica possibile a tavolino?
La Fed sarà così costretta a un taglio monstre come quello tutto politico e totalmente immotivato (se non appunto da finalità elettorali pro-Biden) del settembre 2024, tanto si parte da un costo del denaro sufficientemente alto da renderlo possibile (a differenza di quei fessi della Bce), come vi facevo notare nel mio articolo di ieri?
Mentre i giornali glorificano un mercato azionario in stile teflon, talmente è impermeabile persino a una potenziale guerra su base nucleare, stiamo in realtà assistendo a un cosiddetto short squeeze sell into? Ovvero, nulla più che un’implosione auto-alimentante delle troppe posizioni ribassiste che i timori di guerra e petrolio alle stelle avevano fatto aprire e che i big players utilizzano per alleggerirsi, vendendo senza dare nell’occhio e sui massimi di valutazione.
Se sì, quanto rischio implicito comporta una simile operazione? E soprattutto, quanta percezione di disperazione Usa da roll-over su quei 7 trilioni di debito lascia trasparire in chi la realtà la guarda in faccia e non attraverso dazi e tregue?
Rifletteteci. La mia previsione? Tra metà/fine luglio e inizio agosto, accadrà tutto.
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