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Home » Economia e Finanza » Economia Internazionale » SPY FINANZA/ La guerra sotterranea svelata da oro e argento

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SPY FINANZA/ La guerra sotterranea svelata da oro e argento

Mauro Bottarelli
Pubblicato 16 Ottobre 2025
(Ansa)

(Ansa)

Quel che sta avvenendo intorno alle quotazioni di oro e argento negli ultimi giorni deve far riflettere

Lo sapevate che dentro ogni missile Tomahawk, l’oggetto del desiderio di Volodymir Zelensky casualmente divenuto di moda proprio in queste ultime settimane, ci sono dalle 25 alle 30 once di argento?

E, che come ci mostra questo grafico, sapevate che oggi le Banche centrali del mondo detengono il maggior quantitativo di oro fisico dall’inizio del secolo?


TRA DAZI ED ENERGIA/ "L’Ue rischia di diventare schiava di Usa, Cina e Arabia Saudita"


Ora unite i puntini rispetto alle dinamiche che stanno caratterizzando i prezzi di quei due metalli preziosi. Direi che la questione è terribilmente semplice. Intuitiva. In caso non lo fosse, vi invito a dare un’occhiata a questi due grafici, i quali ci mostrano gli andamenti dei prezzi di quelle due commodities nel pomeriggio di martedì.


SPY FINANZA/ La staffetta Tesoro-Fed che può mettere nei guai gli Usa


Un tonfo. Che deve far ragionare. Perché Mr. Slammy stavolta potrebbe non essere il solito che abbiamo conosciuto e che vi ho più volte rappresentato in recenti articoli. Ovvero, il cartello di banche – cosiddette bullion banks – che operano storicamente e strutturalmente sul mercato dei futures per manipolare i prezzi e trarre profitto dall’arbitraggio garantito dal falso delivery di materiale. Ovvero, oro e argento di carta che non diventano mai lingotti, monete e barre da dover consegnare al cliente terminale di un contratto. Non a caso, si stampano futures come fossero coriandoli a carnevale e in maniera totalmente svincolata dalla reale offerta disponibile sul mercato di metalli fisici. Breve riassunto.


SCENARIO PIL/ I numeri dell’economia reale che fanno navigare a vista le imprese italiane


Ora torniamo a quei grafici e a quel tonfo. Occorre prendere atto che due price actions di quel livello che avvengono contemporaneamente su due assets differenti (ma, di fatto, correlati a livello di rischio per la reputazione monetarista fiat) possono essere frutto unicamente di una manona invisibile, un soggetto ancora più grande e in grado di operare da player persino del cartello bancario.

E allora proviamo a dargli un nome. Chi è tanto potente da potersi muovere in quel modo, fregandosene bellamente di lease rates e borrowing fees alle stelle (ovvero, tassi di prestito sul fisico e commissioni per prendere in prestito azioni dell’Etf per scommettere al ribasso sul mercato futures) e tentando così l’assalto in nome e per conto di un Mr. Slammy che nei giorni precedenti ha visto respinti tutti quanti i suoi assalti a difesa della linea Maginot dei 50 dollari l’oncia per l’argento?

A mio avviso e alla luce di quel dato di inizio articolo sulle detenzioni di riserve auree record, quel profilo può assomigliare unicamente a quello della Banca centrale delle Banche centrali. Ovvero, la Banca per i regolamenti internazionali. Bri. O Bis in inglese. La custode dell’ortodossia monetaria. O, come dice lo slogan che la qualifica sul mercato, il guardiano della stabilità finanziaria e monetaria globali attraverso la cooperazione internazionale.

Bene, quel blitz di martedì pomeriggio va quindi letto come un’interpretazione un po’ dadaista e surreale del concetto di cooperazione internazionale? Se sì, se così fosse pur non potendo ammetterlo, allora c’è un problema. Se davvero ci fosse stata la Bri o Bis o comunque un’entità regolatoria sovranazionale dietro all’attacco contro oro e argento dell’altro giorno, allora nell’immaginaria Houston della manipolazione dell’assets delivery da arbitraggio sui preziosi avrebbero un problema grosso come un condominio.

Perché in meno di 24 ore, infatti, anche quel blitz era fallito. L’argento aveva recuperato 2/3 di quanto perso prima di mezzogiorno di ieri. Orario in cui l’oro invece aveva addirittura sfondato un nuovo record assoluto. Quindi, chi c’è dall’altra parte del trade, apparentemente in grado di respingere qualsiasi assalto?

Domanda la cui risposta forse spiegherebbe anche la nuova crociata Usa sulla soia. Ricordate, ve ne avevo parlato in tempi non sospetti. E sempre martedì pomeriggio, mentre si tentava l’assalto al cielo dei metalli preziosi per ricondurli entro confini di prezzo meno aderenti e confinanti con il concetto stesso di bene rifugio (in un regime inflazionistico che solo Donald Trump vede inesistente come problematica), proprio l’inquilino di Pennsylvania Avenue cambiava nuovamente idea. E attaccava nuovamente la Cina. Appunto rispetto allo stop alle importazioni di soia Usa di cui vi parlavo un mese fa e che ora è divenuto un vero e proprio problema politico nei confronti di quell’America agricola e rurale che ha votato in massa per il tycoon.

Ma se il sottoscritto riportava il 17 settembre scorso del grido di dolore dei contadini americani raccontato dal Wall Street Journal, perché il Presidente avrebbe aspettato un mese per alzare i toni? Oltretutto continuando il suo flip-flop sulle terre rare, quando in effetti l’AI e la questione chip al momento campano tranquillamente di circulr deals e investimenti su partite di giro.

Forse perché già si subodorava che dietro ai continui rialzi di oro e argento ci fosse la regia della Borsa metalli di Shanghai e si voleva palesare il malumore, proprio nel giorno del mega-blitz che si pensava risolutivo? Se così fosse stato, la Cina avrebbe risposto per le rime. E a tempo pressoché zero. Ma c’è di più. Per rendere possibile quel -2,5% di calo nel prezzo dell’argento di martedì pomeriggio, di fatto il mercato futures ha creato dal nulla carta equivalente a due terzi della produzione annuale mondiale di quel metallo. E apparentemente, ha fallito il blitz.

Siamo nel pieno di una guerra sotterranea. Ma reale, a differenza di quella macchiettistica di dazi e tariffe. Perché se resta troppo tempo sopra quota 51 dollari, l’argento può fare male. E, magari, mostrare altarini decisamente imbarazzanti.

Ed ecco che ieri pomeriggio, di colpo, Scott Bessent se ne esce con una frase decisamente importante, ancorché sibillina: Un eventuale crash di mercato non ci farà retrocedere dall’intraprendere azioni forti contro la Cina. Mani avanti, perché il danno di oro e argento ormai è compiuto e la palla di neve è ormai valanga?

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Tags: DaziEconomia USA

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