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Home » Economia e Finanza » Borsa e Spread » SPY FINANZA/ La sfida Usa-Cina che passa dietro il prezzo dell’argento

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SPY FINANZA/ La sfida Usa-Cina che passa dietro il prezzo dell’argento

Mauro Bottarelli
Pubblicato 6 Ottobre 2025
Image by Walter Freudling from Pixabay

Image by Walter Freudling from Pixabay

Conviene monitorare con cura già da oggi le quotazioni dell'argento, anche per capire come procede lo scontro Usa-Cina

Oro e argento, questi i nomi da tenere sotto stretta osservazione finanziaria nella settimana che comincia. Alla faccia dello shutdown e di Bitcoin che ne traccia il prolungamento atteso e sfonda il suo record storico.

Dopo le clamorose montagne russe di giovedì e venerdì scorso, la settimana che sta iniziando rappresenta un banco di prova fondamentale per i due metalli preziosi. Per due motivi. Primo, capire se realmente i nuovi massimi riacquisiti a tempo di record nell’ultima seduta della settimana siano frutto di un cambio nei livelli di resistenza. Un qualcosa che, ad esempio, vedrebbe l’argento aver fissato in area 45 dollari l’oncia la sua nuova linea Maginot.


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Secondo, la riapertura dei mercati cinesi dopo la settimana di stop legata alla festività della Golden Week (1-8 ottobre). Se quanto avvenuto venerdì a livello di recupero è stato davvero spinto da fame di fisico che prescinde da un soggetto onnivoro e strutturale come la Cina, l’oro potrebbe davvero puntare a 4.000 dollari entro fine anno. Ma, soprattutto, l’argento potrebbe varcare già in settimana la quota di 50 dollari l’oncia. Ben più di un simbolo.


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Perché a quelle valutazioni, l’intero sistema della soppressione al ribasso dei prezzi messo in campo dalle cosiddette bullion banks salterebbe e le perdite dettate dalla chiusura forzata delle posizioni ribassiste non solo andrebbero contabilizzate ma, soprattutto, opererebbero da short squeeze sul trend rialzista. Amplificandolo. E con la Cina in campo, le giornate di giovedì e venerdì appaiono quelle su cui puntare la massima attenzione.

Questa immagine può essere utilizzata come riassunto di quanto avvenuto venerdì, giornata in cui il mercato attendeva la reazione dopo l’attacco ribassista delle 24 ore precedenti, operato con tale forza da portare l’argento a perdere quasi il 4% in 75 minuti. Il giorno seguente, stante proprio l’abuso di azioni generate dagli Etf per consentire la loro presa in prestito per scommesse al ribasso, la disponibilità di titoli per proseguire la campagna di compressione era a 0.


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Al netto di borrowing fees già sui massimi della scorsa estate, nemmeno un’azione per poter scommettere (e, in tal modo, generarlo) su un ulteriore ribasso. E boom!

Un meccanismo relativamente semplice ma oscuro, poiché strettamente legato a dinamiche da addetti ai lavori, ai meandri nascosti del mercato. Ma che, finora, ha fatto in modo che l’argento non varcasse la quota dei 40 dollari. E parliamo di trend ultra-ventennali e non di trimestri. E come mostra questo altro grafico, la settimana che sta aprendosi potrebbe portare in dote qualcosa di epico e azzardato al tempo stesso.

Le ultime due volte che il prezzo ha raggiunto il livello attuale, l’epilogo furono due colossali collassi sotto la linea di resistenza. Nel 1980 un -90% e nel 2011 seguito da un pullback del -71%. Stavolta sarà breakout al rialzo, invece? Se sì, trattasi di materiale da libri di storia.

Per mettere la questione in prospettiva, basti pensare che a fronte di una performance da inizio anno che vede lo Standard&Poor’s a +14%, l’argento ha segnato +64% e l’Etf che traccia i titoli minerari a esso legati (Global X Silver Miners) +128%. Ecco la ragione per cui il ritorno in operatività normale del mercato cinese può realmente pesare sulle valutazioni. Non solo meramente legate al prezzo. E nemmeno alla scarsità sempre più conclamata di offerta di argento fisico a livello globale, stante dinamiche spot/futures che già hanno portato a brevi regimi di backwardation (prezzo spot più alto di quello futures, quindi attesa per un futuro calo del prezzo).

Il confronto rischia di travalicare nel politico. La cosiddetta weaponization delle materie prime che la Cina sta utilizzando sempre di più come arma a livello geopolitico contro quella conclamata del dollaro come valuta benchmark. Questo grafico mostra un trend che infatti dura silenziosamente da anni. E che proprio la battaglia così finanziarizzata dell’argento, ora potrebbe far deflagrare nella sua reale entità sistemica.

Ciò che si vede è il cosiddetto trade settlement layer, la base della strategia cinese di utilizzo dello yuan nelle partite commerciali legate a materie prime. E che, stante la scarsa fiducia del mercato nell’obiettività del cambio dollaro/yuan (l’accusa di manipolazione strutturale mossa da Washington verso Pechino), ma quella sempre crescente verso il cambio dollaro/oncia aurea, ha visto la Cina scegliere proprio l’accumulazione di oro fisico come strategia di diversificazione delle riserve. Non solo per alleggerire l’esposizione sui Treasuries statunitensi. Bensì per operare un vero e proprio gold floating.

Insomma, Pechino vuole silenziosamente imporre un gold standard sulle materie prime che preveda un regime di gold/commodity ratios. La ragione? Le commodities viaggiano su volumi di 10-15x rispetto all’oro. E in crescita. Guarda caso, l’oro ha messo la quinta da quando l’AI ha fatto deflagrare le valutazioni di componenti metalliche e minerarie fondamentali.

Terre rare in testa, monopolio cinese. E continua a crescere. Ma se questa dinamica prenderà piede, quota 4.000 dollari l’oncia potrebbe davvero essere solo l’inizio. E gli Usa difficilmente potranno accettarlo. A meno di una revaluation delle riserve di Fort Knox per abbattere significativamente il debito. Ipotesi primordiale dell’amministrazione Trump. Poi abbandonata a favore delle riserve strategiche in crypto e del Genius Act.

Perché? Forse Pechino ha come arma segreta proprio la scoperta del vero, grande bluff? Se l’argento sfonderà quota 50 dollari, inizierà tutta un’altra storia. Se la speculazione ribassista riaprirà le ostilità, utilizzando qualsiasi mezzo, allora ne avremo la paradossale conferma.

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Tags: Donald TrumpEconomia USA

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