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Home » Economia e Finanza » Economia Internazionale » SPY FINANZA/ L’azzardo Usa che offre un’occasione d’oro alla Cina

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SPY FINANZA/ L’azzardo Usa che offre un’occasione d’oro alla Cina

Mauro Bottarelli
Pubblicato 29 Luglio 2025
Ansa

Ansa

Si preannunciano giorni di nuovi record per i mercati. Ma occorre guardare alle mosse della Fed e tenere d'occhio la Cina

Con il passare dei giorni, il rischio è quello di precipitare nella sindrome dell’orologio rotto. Quello che, almeno due volte al giorno, giocoforza segna l’ora esatta. Il rally che dai minimi di aprile ha visto lo Standard&Poor’s crescere del 30% invia quotidianamente segnali di stanca, quantomeno stando alle metriche pre-Trump. Ma inevitabilmente, qualsiasi criticità viene letteralmente posta a bordo pista. E il bolide equity infrange un record al giorno.


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E anche la questione relativa all’accordo commerciale con l’Ue è rientrata appieno in un novero pavloviano di ottimismo, quantomeno se vista dal lato europeo della barricata, stante le condizioni capestro accettate e che certamente non meriterebbero festeggiamenti. Insomma, che fare, come cercare di capire cosa accade?


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Prima di tutto, qualche cifra per mettere in prospettiva drastica la situazione del meraviglioso mondo di Wall Street e il suo spillover in stile sortilegio sul resto dell’Occidente. Evito di pubblicare i grafici al riguardo, tanto con l’AI basta che inseriate le parole chiave e potrete vedere confermate le cifre che sto per snocciolarvi in tempo reale. Perché ormai sono tante le metriche che sembrano inviarci chiari segnali di un trend che potrebbe perdere smalto da un momento all’altro. Sicuramente non overnight. Ma certamente nell’arco di poche sedute.

Il Buffett Indicator (ratio fra valore di mercato dell’azionario Usa rispetto al Pil) è tornato sopra 200%, livello che Warren Buffett definiva così: If the ratio approaches 200%, as it did in 1999, you are playing with fire. La massa monetaria M2 statunitense giunta alla quota record di 22 trilioni di dollari pone non poche domande sulla pressione che Casa Bianca e mercato stanno esercitando sulla Fed in vista del Comitato monetario di oggi e domani, mentre il margin debt che a giugno per la prima volta vola sopra 1 trilione di dollari ci parla di un azzardo e una leva speculativa decisamente over-stretched. La famosa corda troppo tesa che, alla fine, si spezza sotto una pressione che si pensava gestibilissima.


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Infine, la ratio Shiller P/E a 38.97 ci telegrafa un livello storicamente superato solo durante la bolla 1999-2000. E il fatto che il mercato stia totalmente ignorando gli utili nella sua valutazione di rischio è un altro fattore che deve far riflettere, stante soggetti come Nvidia che dall’alto dei loro 4 trilioni di market cap reggono l’intera baracca con una ratio di espansione dei multipli di utile per azione in area 40x.

E attenzione, perché questa è la settimana delle trimestrali dei giganti tech. Tutti i grandi nomi del settore di punta offriranno al mercato il loro bazar di unicorni, di fatto apparecchiando la tavola a nuovi record infranti a catena. E in tal senso, attenzione ulteriore. Perché dopo l’ultima cavalcata, proprio il settore tech pesa per il 44% dello Standard&Poor’s 500, il massimo storico. Letteralmente raddoppiato dal 2018 a oggi. E, soprattutto, superiore al 35% toccato durante la prima bolla tech del 1999-2000. Corsi e ricorsi di quel biennio che segnò l’inizio della finanziarizzazione selvaggia.

Il sottostante di tutto questo? Meramente politico. L’azione di caos organizzato della Casa Bianca sembra porre proprio questo ossimoro diplomatico come base a un rally totalmente sconnesso da ogni metrica o fondamentale. E che sta alimentandosi unicamente dalla capacità della Casa Bianca di gestire senza traumi i suoi clamorosi stop-and-go e le sue inversioni a U. L’unica, vera certezza è il Taco trade. E quell’inganno, quel segreto di Pulcinella, regge i numeri che vi ho appena elencato.

Proprio ieri, fresco di un accordo con l’Europa che ha monopolizzato a dovere le prime pagine, ecco che Washington annunciava un rinvio di altri 90 giorni dell’ingresso in vigore delle tariffe reciproche con la Cina. Ma non solo. Anche il ritiro dei controlli sull’export tech proprio verso la Mainland del Dragone, al fine di assicurarsi un accordo. Almeno così diceva il Financial Times.

Cosa attendersi, quindi? Paradossalmente, attenzione a quanto accadrà domani sera. L’attesa per il tanto sospirato taglio dei tassi da parte della Fed potrebbe rivelarsi tantrum e non pivot per le equities. Una sindrome Bernanke indotta politicamente dall’infinita querelle da poliziotto buono e cattivo fra Trump-Powell che generi il policy error più imprevedibile ma anche gestibile di sempre.

E riattivi completamente l’automatismo del sostegno da prestatore di ultima istanza. Stante un Tga, il conto corrente federale che finanzia la spesa governativa ordinaria, ormai a zero che il Tesoro dovrà rimpolpare.

Come? Emettendo debito. Che i Primary Dealers dovranno acquistare, stornando così liquidità dalle equities. E la duplice mossa di appeasement di Donald Trump verso la Cina, pressoché ignorata dai media, parla chiaramente la lingua di un azzardo finanziario Usa che ora pare entrato in un territorio in cui il controllo a tavolino dei rischi non garantisca più la sicurezza assoluta. Quei numeri poc’anzi elencati sono ormai dadi da lanciare.

Il settore tech in particolare, stante appunto il peso esorbitante sull’indice benchmark. E la sua capacità di innescare un secondo Black April nel pieno dell’estate e dei suoi bassi volumi di scambio.

Non a caso, mentre il mondo pare agitarsi impazzito attorno a cifre, percentuali e aliquote di tariffe aleatorie, il silenzio della Cina risulta assolutamente assordante. Così come le prese di posizione politiche rispetto alla gravità sistemica del fallimento dei colloqui fra Pechino e Bruxelles della scorsa settimana.

Attenzione, infine, alle tempistiche che la Fed porta con sé. Dopo il board di oggi e domani, il prossimo appuntamento con le decisioni di politica monetaria sarà per il 16-17 settembre, intervallato soltanto dal meeting di Jackson Hole del 21-23 agosto.

Appuntamento che di solito viene utilizzato per tracciare le linee guida fino alla fine dell’anno. In caso divenga sede di un intervento/annuncio non programmato, invece, vorrà dire che il mercato avrà già imboccato la direzione contraria. E piaccia o meno, il timone sarà in mano a Pechino.

Perché al netto della retorica pavoneggiante, è stato Donald Trump a porgere un duplice ramoscello d’ulivo a Xi Jinping ieri. E non il contrario. Nonostante una Wall Street che sembra in grado di governare e conquistare il mondo. A colpi di debito e leverage. E questo la Cina lo sa.

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Tags: Donald TrumpXi Jinping

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