Con il riarmo europeo si torna a parlare di debito comune, che potrebbe però portare a conseguenze non piacevoli per l'Italia

Il rendimento del titolo di Stato giapponese a 40 anni ieri mattina in chiusura di negoziazioni ha toccato il suo record storico assoluto: 2,849%. Contestualmente, il decennale spalancava le porte alla prossima crisi da carry trade, toccando 1,59%. Quando arriverà il 5 agosto 2024 reloaded?

Dipende quanto la Bank of Japan abbia voglia di svenarsi per calmierare lo yen sul dollaro. E, soprattutto, quanto abbia voglia di scontrarsi con la Casa Bianca, lasciando intravedere l’ipotesi di vendere Treasuries per difendere l’indifendibile.



Ma vi invito a prestare molta attenzione alla dinamica del quarantennale. Quel rendimento ci dice che, prima o poi, il mercato dovrà smettere di fingere. E fare i conti con il fatto che Tokyo sulle lunghe scadenze ora affronta una prospettiva di roll over semplicemente insostenibile per le casse. E non lo fa in condizioni normali. Lo fa alla luce dello stock di debito pubblico più grande del mondo.



Perché piaccia o meno, tutto quanto sta accadendo, ha un unico filo conduttore. Il debito, appunto. Quello che a detta di qualcuno non è un problema, tanto si sterilizza. Tanto le Banche centrali non possono fallire e possono stampare quanto vogliono. Non è così. Basta sentir parlare il segretario al Tesoro Usa, il quale ha chiaramente detto che l’unica priorità è appunto quella di schiacciare al ribasso il rendimento del titolo decennale. Anche a costo di far pagare il conto a Wall Street. E le ultime due settimane ci hanno offerto uno spoiler.

Pensate che in Europa la musica sia molto differente? Davvero? Pensate che davvero Ursula von der Leyen continui a parlare di debito comune, semplicemente perché servirà a sostenere Kiev nella fase terminale del suo suicidio assistito? O della sua pantomima concordata, ammesso e non concesso che gli Usa si accontentino davvero dell’accordo sui minerali e le terre rare, prima di staccare la spina alla collaborazione di intelligence. Preparatevi, perché ReArm è il nuovo ESG. Prima era tutto un fiorire di sostenibilità ambientale, ora tutta una rincorsa all’antimonio per fabbricare armi.



Date un’occhiata al grafico, ci mostra quale sia stata la dinamica del prezzo di quel metallo fondamentale per il warfare dal dicembre scorso a oggi. Perché al bando sui chip voluto da Joe Biden contro la Cina, Pechino rispose con una restrizione nell’export di antimonio, gallio e germanio.

Forse da quelle parti avevano già capito quale aria tirasse e quale recita stesse per andare in scena. Ma, soprattutto, da quelle parti hanno il monopolio sulle commodities strategiche. Mentre qui abbiamo derivati e swaps. Capito l’ossessione Usa per le terre rare ucraine?

Ma torniamo a ReArm. Prima del Covid, la Commissione Ue si finanziava sul mercato per circa 500 milioni di euro all’anno. Lo scorso 31 dicembre, quel controvalore era salito a 330 miliardi. Dal 2020 a oggi. Cui andavano sommati i 100 miliardi circa legati al programma Sure per il sostegno all’occupazione e a seguire il diluvio di miliardi per l’Ucraina, una cinquantina. Ed eccoci all’oggi.

Prima dell’annuncio di Ursula von der Leyen sul mega-fondo europeo per il riarmo, la medesima Commissione Ue aveva programmato emissioni obbligazionarie per un controvalore di 160 miliardi per il 2025. Tanto per darvi un’idea, Italia e Francia viaggiano sui 300 miliardi. Ognuna.

Un po’ pochino per la casa madre. Ed ecco l’idea. Ecco l’alibi. Ecco soprattutto l’occasione storica per passare da emissioni una tantum e di scopo e un vero e proprio prodromo di debito comune. Casualmente, quello che Mario Draghi riteneva non più rinviabile nel suo report sulla competitività dello scorso settembre.

Con la Germania costretta a una violazione senza precedenti delle sue regole fiscali e con un governo di Grosse Koalition nato a tempo letteralmente di record (e senza che Afd abbia detto bah, tanto per farvi capire quale sia la partitura su cui si sta danzando e quanto la cosiddetta rappresentanza sia ormai un concetto totalmente vuoto), ecco che l’Europa può sperare nella caduta del secondo muro di Berlino. Appunto quello della mutualità del debito.

E con livelli di indebitamento stellari e il reinvestimento titoli Bce agli sgoccioli, occorreva un cavallo di Troia. Un blitz. Perché la strategia dei piccoli passi, degli stress test con ammontare minimi di emissioni comuni per vedere l’effetto che fa fra l’opinione pubblica tedesca, non era possibile. Non è possibile. Occorre il diluvio. Occorre che il mercato prezzi un debito comune Ue negoziabile sul secondario come fosse debito sovrano nazionale.

Praticamente da subito. Quindi con la possibilità di essere tracciato negli indici dei fondi, la possibilità di offrire copertura via futures e opzioni e, soprattutto, la possibilità di entrare a piedi uniti nei portfolios dei grandi investitori. Occorreva un alibi storico. Ed ecco la minaccia russa. La nuova Guerra fredda. I cosacchi ai confini.

Perché la Germania dovrebbe accettare, al netto del via libera alla più grande operazione di indebitamento della sua storia moderna, Riunificazione inclusa? Perché sarebbe proprio la tripla A di Berlino a operare da tranche nobile per le cartolarizzazioni comuni, la garanzia libera tutti. E quindi? Basta pensare male e si arriva subito alla conclusione. Cosa accadrebbe in un regime di emissioni comuni come queste, in caso uno Stato membro violasse i limiti e i parametri sui conti pubblici rispetto alle direttive della Commissione?

A quel punto, la mitologica procedura di infrazione diverrebbe un dolce ricordo. Perché scatterebbe una sorta di rivisitazione in negativo delle regole interne ai cicli di Qe, la cosiddetta capital key. Questa volta, però, in caso di deficit eccessivo, magari avremmo l’immediato stop o la sospensione o la riduzione drastica della quota parte di finanziamento comune per via obbligazionaria.

A quel punto, chi come l’Italia ha livelli di debito tenuti sotto controllo solo da scudi europei o comuni, vedrebbe l’ipotesi di una crisi da spread tramutarsi in epilogo pressoché garantito. Dopodiché, commissariamento de facto.

Attenti a festeggiare troppo il debito comune a cui stanno già alacremente lavorando a Bruxelles. Perché potremmo pentirci amaramente di averlo evocato come panacea ai nostri vizi contabili.

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