“La moneta di Facebook cambia le regole del gioco”. Presentando il suo ultimo libro, Le tre profezie. Appunti per il futuro, in un’intervista con il Sole24Ore, l’ex ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, non ha dubbi: la valuta privata e parallela lanciata a livello globale da Mark Zuckerberg amplia e connotata il paradigma, trasportandoci – solo apparentemente in maniera pacifica – in un mondo che è “altro” rispetto a quanto conosciuto finora. D’altronde, l’intera ultima fatica letteraria di Giulio Tremonti è basata su una sorta di confronto fra opzioni, tanto che pone tre manifesti alla base del suo ragionamento: quello di Karl Marx, quello appunto del fondatore di Facebook e quello di Ventotene, base politica dell’europeismo moderno.
Per Tremonti, “Libra è una application arrivata quasi prima del previsto della profezia di Goethe: i biglietti alati voleranno più in alto di quanto la fantasia umana, per quanto si sforzi, possa raggiungerli. Nel caso in questione, i biglietti alati sono appunto le Libre di Facebook”. E ancora: “Come Faust e Mefistofele insieme spiegano al sovrano, questo è un esercizio che si può ripetere all’infinito, con una magia che permette di creare ex nihilo una ricchezza di tipo nuovo, immateriale e infinita, come nel libero volo dei biglietti alati. Questa profezia non è stata solo sulla creazione delle banconote (i biglietti alati, ndr), ma in generale sul potere che può essere sprigionato da tutte le cambiali mefistofeliche”.
Certo, in tempi di polemica montante sui mini-Bot, verrebbe facile declinare il caso in base a direttive “alte” come quelle che Tremonti analizza nel suo volume. Ma gli faremmo un torto, perché per quanto il giornalismo sia anche l’arte della semplificazione, i mini-Bot sono intuizione degna della Banda degli onesti che ben poco hanno a che fare con il concetto realmente faustiano e un po’ da day after nucleare con cui abbiamo a che fare. Già oggi, perché la prima atomica moderna sganciata sulla società globalizzata è stata Lehman Brothers. E l’ex ministro dell’Economia lo sa. Chiaramente. Occorre però, a mio avviso, contestualizzare maggiormente e in maniera più pratica la nuova realtà in cui ci stiamo – anzi, ci stanno – immergendo, un po’ come nel concetto chomskiano della rana bollita. E per farlo, ritengo che siano sufficiente questi due grafici, più efficaci di mille mie parole. E anche, ho la presunzione di pensare, di quelle ben più culturalmente profonde e preparate del professor Tremonti.
Guardate cosa sta accadendo, in piena era di rendimenti negativi record a livello globale. Correlazione perfetta fra aumento del controvalore di bond con yield sottozero, arrivati al nuovo record assoluto di oltre 13 triliardi di dollari e aumento del prezzo di oro e bitcoin. Signori, non è affatto un caso. È il nuovo mondo, in cui la perdita di valore del denaro “ufficiale” spiana il dualismo fra antico bene rifugio per antonomasia e moneta elettronica. E noi ne siamo i pioneri. Spesso e volentieri inconsapevoli. Anzi, siamo le cavie. Perché questa dinamica ci mostra come l’onnipotenza delle Banche centrali post-2008 abbia, di fatto, tramutato il denaro in pezzi di carta dal valore non più reale, dato la loro ormai connaturata manipolabilità.
Subito dopo la crisi del 2011, si diceva che un euro nelle tasche di un cittadino greco o di un cipriota non valesse “politicamente” quanto quello nelle tasche di un tedesco o di un francese, ragionamento che trovava sfogo e amplificazione prospettica nel grande quesito strutturale: l’euro nelle tasche degli italiani, quale valore avrà? Di fatto, domanda parallela a quella da scoperchiamento del vaso di Pandora: l’Italia resterà nell’euro? Oggi siamo da capo e da più parti, in patria come fuori, i mini-Bot vengono appunto visti come il cavallo di Troia, l’atto primigenio e prodromico alla cosiddetta Italexit, l’uscita dell’Italia dal sistema della moneta unica.
Lasciamo stare le complicazioni tecniche, lasciamo stare i conti di Target2 e altre amenità e restiamo sul livello “alto” scelto dal professor Tremonti per inquadrare la nascita di Libra in quello che è il suo reale contesto politico, prima che valutario in senso stretto. Una nuova epoca è ormai iniziata e occorre prendere atto che il Big Bang che l’ha generata è stata appunto la notte fra il 14 e il 15 settembre del 2008, quando il fallimento di Lehman Brothers – deciso strategicamente a tavolino nella sede della Fed di New York, dove si scelse di non salvare la banca d’affari – ha aperto quella che Albert Edwards di Societe Generale ha definito con ampio anticipo su tutti “l’era glaciale della deflazione”, ovvero la giapponesizzazione del mondo. Un mondo a tassi negativi, un mondo che è – con le debite differenze e la paradossale inversione di tendenza economica – la nuova Weimar.
E qui non siamo certo a vaticinare la Terza guerra mondiale, poiché l’iperinflazione ha certamente spianato la strada al Terzo Reich, ma fu l’umiliazione del Trattato di Versailles e l’occupazione francese della Ruhr a far germogliare il seme della rivalsa tedesca, poi fecondato dalla follia nazional-socialista. Qui siamo nel mondo del denaro onnicomprensivo, nel senso che può valere tutto e non valere assolutamente nulla. Al tempo stesso. Ho pubblicato decine di grafici, negli ultimi trimestri, per dimostrarvi fattivamente come gli indici azionari del mondo fossero ormai dipendenti da un’unica variabile: l’offerta di liquidità globale in dollari, ovvero la fornitura di denaro a costo zero da parte delle Banche centrali. I dati macro, se ben ricordate, sono da almeno un biennio in perfetto de-couple rispetto a liquidità e corsi azionari: schiantati al suolo, ai minimi dalla grande crisi finanziaria. Eppure, tutti a magnificare la ripresa. Prima quella della Fed di Ben Bernanke, poi quella del Giappone di Abe e Kuroda, poi ancora quella Bce del post-Whatever it takes fino all’esperimento terminale di deficit strutturale su larga scala sistemica inaugurato dall’amministrazione Trump con lo shock fiscale del 2018, regalo di Natale anticipato a Wall Street, visto che prima delle elezioni di mid-term dello scorso novembre, fu lo stesso Presidente Usa a recitare il mea culpa nei confronti della classe media.
Insomma, da un lato il denaro è fondamentale per la finanza e le Banche centrali sono i pusher di questa tossicodipendenza miliardaria e globale, visto che i “comunisti” cinesi sono campioni del mondo di manipolazione, schema Ponzi finanziario e sfruttamento delle distorsioni sistemiche del peggior capitalismo. Dall’altro, il denaro non vale più nulla. Non a caso, appena la percezione di recessione globale diventa consolidata e diffusa, ecco il triplice effetto: rendimenti obbligazionari in negativo a livello record, ma, soprattutto, oro e bitcoin che ne seguono l’andamento in controvalore crescente. Alternative al denaro, nuovi beni rifugio. Anzi, nemmeno troppo nuovi. Nel senso che, ad esempio, Cina e Russia nell’ambito della loro scelta politica di de-dollarizzazione delle proprie economie, hanno puntato da anni ormai sull’aumento esponenziale delle riserve di oro fisico, il bene rifugio per antonomasia che tesaurizza le aspettative di crisi. Quelle vere. Poi, parallelamente, le criptovalute. Prima dileggiate, poi criminalizzate tout court (spesso e volentieri, a mio avviso, con ragione, non fosse altro per la loro opacità che spiana la strada a riciclaggio ed evasione fiscale di massa) e ora approcciate come un qualcosa con cui, piaccia o meno, toccherà sempre di più fare i conti.
La decisione della Corte europea di sdoganare i bitcoin come valuta-sorella dell’euro, parla chiaro in tal senso: “Non mi pare sia un buon punto di partenza! Nessuna critica, ma l’impressione è che per suo conto la Bce sia costretta a gestire problemi nuovi con strumenti vecchi”, ha dichiarato al riguardo il professor Tremonti sempre al Sole24Ore. Ma davvero quel muoversi in tandem di oro e bitcoin con il trend di inflows record dei rendimenti negativi a livello globale ci dice soltanto che il mondo è sfiduciato rispetto alla valuta tradizionale, al denaro “sterco del diavolo”, alla manipolabilità della moneta fiat in tempo di Banche centrali trasformate in copisterie di ricchezza falsa e distorsiva?
Fosse così, saremmo nell’ambito della filosofia politica e io mi chiamerei fuori, in partenza. Leggerei i testi di chi è più colto e preparato di me, per mero interesse personale. Io invece vi lascio con un ultimo grafico, il quale ci mostra come sotto il pelo dell’acqua ci sia un iceberg enorme in attesa, un altro evento creditizio epocale, tipico della fine (nel caso attuale, anticipata ed emergenziale) di ogni ciclo di contrazione monetaria della Fed: un’altra Lehman che gira per i mari, in attesa di un ecoscandaglio meno preciso degli altri da buggerare. E di un Titanic da affondare.
Quello riportato nel grafico è infatti il cosiddetto FED model e ci dice che attualmente i titoli azionari sono ancora sì più attrattivi dei bond in prospettiva (linea azzurra), ma che il rischio enorme – e che cresce di magnitudo ogni giorno che passa – è quello di un mercato equity che non abbia prezzato in maniera realistica e sufficiente il potenziale di cattive notizie macro che giungano nel futuro prossimo da economia reale e, sopratutto, dal fronte degli utili (linea nera). L’ultima volta che si verificò una situazione simile nel FED model fu infatti sul finire del 2006, quando il ciclo economico andava sgonfiandosi in perfetta antitesi con la bolla della leva, creando i presupposti per la grande crisi.
Come? Come accadde, ad esempio, qualche anno prima con la crisi di Ltcm (1998), quando un collasso della curva dei tassi americani come quella in atto oggi fece implodere proprio le scommesse a leva del grande fondo speculativo. Le cui conseguenze sarebbero state ben peggiori, a livello Lehman per carattere globale, se la Fed in quel caso non fosse intervenuta. Erano le prove generali di quanto sarebbe accaduto di nuovo, ancorché in maniera strutturalmente e strategicamente differente, dieci anni dopo. Quando la Fed decise di non intervenire. Chissà come mai? Attenzione, siamo in un nuovo mondo. Ma occorre un altro Big Bang per farcelo accettare e accelerare le pratiche faustiane in atto, ancorché – come dice il professor Tremonti – le regole del gioco siano già cambiate. Facebook non è mai stato “solo” un social network, sappiatelo. I vostri selfies al mare o le fotografie dei paccheri allo scoglio che state mangiando hanno, da sempre, avuto un’altra finalità ontologica di fondo: stiamo scoprendolo solo ora. Manca però un tassello, manca lo shock. Prodromico magari alla definizione dello status stesso di Libra, oggi non a caso ancora molto opaco e in bilico fra criptovaluta e sistema di pagamento alternativo. A quando il primo vagito del nuovo mondo?