Macron agita lo spettro della guerra e convince gli elettori. Offre l’ombrello nucleare all’Europa, ma per il riarmo ha bisogno dei fondi di Bruxelles

Macron usa la guerra per far dimenticare i guai della Francia e ricompattare il Paese intorno alla figura del presidente della Repubblica. E gli elettori di tutti i partiti ci credono, tanto è vero che i consensi nei confronti della sua persona aumentano. La Francia, però, spiega Francesco De Remigis, giornalista già corrispondente da Parigi, è schiacciata da un debito senza precedenti e rischia di non avere le risorse per fare da guida militare all’Europa.



Anzi, si aspetta proprio dalla UE fondi importanti che controbilancino la concessione dello scudo nucleare. Non è detto, tuttavia, che gli altri Paesi siano d’accordo. Anche perché l’Eliseo vuole mantenere comunque il controllo esclusivo francese sul sistema nucleare.

Il presidente Macron promuove la difesa comune europea, mette a disposizione dell’Europa le sue armi nucleari e paventa la possibilità di utilizzo di truppe in Ucraina. Qual è il vero obiettivo di questa politica guerrafondaia?



Non so se si possa definire “guerrafondaia”. Direi più che è certamente parte di un’azione politica di “deterrenza”, per così dire, nei confronti delle tante criticità che la Francia affronta da un paio d’anni, attribuite finora all’agire di Macron. Un suo fondamento strategico ce l’ha, ed è l’accelerazione sulla difesa continentale. Ma è chiaro che è stata anche l’occasione utile a ricompattare quanto più possibile il Paese attorno al capo dello Stato e all’idea di una Francia protagonista, sempre e comunque. Anche quando ha un debito pubblico mai visto e un’instabilità politica evidente in casa.



La politica estera sta dominando il dibattito interno o prevalgono altri temi?

Negli ultimi giorni, sì, domina. Anche se è inevitabilmente via via sempre più legata ai problemi che ha la Francia. Spesa pubblica già elevata, spesso improduttiva, a cui ora si aggiunge la necessità di altri investimenti per far fronte alla minaccia russa paventata da Macron, con cui prova anche a far passare il resto delle criticità quasi in secondo piano. Ieri sera su BfmTv, per dire, c’era un lungo dibattito speciale che chiedeva pareri a esperti di vari ambiti, se pensano davvero che la guerra sia alle porte… Il 76% degli intervistati approva la possibilità di effettuare investimenti aggiuntivi per la difesa, ma senza aumentare le tasse; il 34% è d’accordo a prescindere e il 42% piuttosto d’accordo.

Come ha reagito l’opinione pubblica alle parole di Macron: paura per le conseguenze, disinteresse o sostegno?

Il tema che si sta accendendo ora è il ritorno alla leva obbligatoria. C’è un divario generazionale enorme. Il 72% degli ultrasessantenni è favorevole, mentre solo il 43% nella fascia 18-24 anni lo sostiene. Difficile far passare il messaggio nella “generazione TikTok”, la più angosciata dall’ipotesi. Però, dopo un iniziale spaesamento, ogni francese o quasi si interroga elaborando una posizione. E nel complesso, nella media generale, il 61% dei francesi dice sì, dopo il discorso di Macron, al ritorno alla leva obbligatoria (sondaggio Destin Commun/Ouest-France).

Il discorso alla nazione è stato utile a Macron, che ha guadagnato quasi sei punti nei sondaggi, un balzo impensabile fino a pochi giorni prima. Permangono ancora vari distinguo. Per alcuni, la guerra non è affatto alle porte della Francia come dice Macron, né tanto meno l’Esagono è in pericolo. Altri, che magari finora erano disinteressati a ciò che accade in Ucraina, iniziano a prendere per buoni, diciamo così, gli allarmi dell’Eliseo, visto il tono grave con cui si è rivolto ad essi.

Il governo è dalla sua parte?

Assolutamente sì, il premier centrista Bayrou lo sta spalleggiando al 100 per cento, anche partecipando al dibattito in Assemblea nazionale. Piuttosto comprensibile, visto che l’Eliseo sta provando a riportare la Francia al centro della politica globale, non solo europea. Sta al premier Bayrou la missione impossibile di aumentare il budget della Difesa, dopo aver faticato a chiudere quello che permette a malapena all’Esagono di non esporsi a nuovi rischi sui mercati finanziari. Infatti, Macron rinasce nei sondaggi, Bayrou scende, e parecchio.

E tra i partiti chi lo appoggia?

La sua maggioranza. Ha poi frantumato le sinistre, sempre divise sulle questioni internazionali. E non ha convinto i lepenisti: Le Pen e Bardella non vogliono investire un solo euro nella difesa europea, fermi sul punto di una Francia con propria difesa nazionale per difendere gli interessi esclusivi dei francesi, è la linea. Secondo i lepenisti, la minaccia russa è meno allarmante del pericolo islamista, accusano il presidente di giocare sulla paura.

I socialisti accettano invece di aumentare la spesa militare, ma chiedono più “giustizia fiscale” per finanziarla e dicono che i veri pacifisti sanno che la guerra è sempre deprecabile, ma che a volte è inevitabile.

Insomma, aprono all’idea di Macron, ma spingono per dire che l’America di Trump “non è più nostra alleata”. Risorge un po’ di antiamericanismo, che con Trump ha gioco facile; un rinnovato europeismo, in una Francia che ha bocciato la Costituzione europea; un certo patriottismo, fino a un certo nazionalismo dei lepenisti che ricordano che l’atomica francese protegge per Costituzione la Francia e i suoi cittadini, non altri.

Macron offre l’ombrello nucleare francese all’Europa: finirebbe per acquisire un ruolo predominante dal punto di vista politico?

Dal punto di vista politico, inteso come “governo” Ue, Macron e i suoi liberali sono in netta minoranza in Commissione. È bene ricordarlo per capire fino in fondo quanto sia utile politicamente l’offensiva mediatica messa in campo dall’inquilino dell’Eliseo, che usa la sua potenza nucleare per guadagnare terreno. La nuova squadra di Ursula von der Leyen l’aveva quasi isolato anche per la debolezza politica interna.

In Europa, in questa fase, governano di fatto i popolari, con sostegni vari a oggi ininfluenti o quasi sul nuovo indirizzo politico, vedi la stretta su immigrazione e rimpatri e l’addio sostanziale al piano green così come era stato scritto in precedenza. Macron ha rimesso al centro il ruolo della Francia, non certo il suo, che non ha grandi altri liberali nei governi europei. Ma non mi pare sia lui a dare le carte, specie dopo il riavvicinamento di Londra.

Resta il fatto che gli altri Paesi sarebbero in qualche modo dipendenti dalla Francia.

Semmai possiamo parlare di interdipendenza. Ciascun Paese ha qualcosa di buono da offrire, in Europa, sulla Difesa. Specie i grandi eserciti di cinque big, Francia, Germania, Italia, Polonia e Regno Unito, che non a caso sono quelli che si parlano in questa fase. Poi è chiaro che dall’operazione “riarmo” la Francia punti ad azionare acquisti europei, che tradotto vuol dire compra francese.

Ma non credo che otterrà grandi vantaggi, non più di altri. Appalti comuni vuol dire acquistare meno armi dagli Usa, ognuno ha però da mettere sul piatto qualcosa per guadagnarci, non certo solo Parigi, anche noi, Berlino, Londra. Si tratta di costruire i presupposti per armonizzare i sistemi d’arma; a quel punto le concorrenze odierne, tra eserciti e industrie, si ridurrebbero di molto.

La Francia ha armi sufficienti per garantire la sicurezza dell’Europa? Chiederebbe agli altri Paesi di contribuire alle spese per il nucleare?

Ecco, questo è il vero punto nevralgico del dibattito. Macron agita l’ombrello atomico francese ma rischia di restare a corto di munizioni. E il suo ministro evoca cifre choc come 100 miliardi in pochi anni da spendere per la Difesa. Parigi possiede circa 290 testate nucleari. Molti concordano però sul fatto che, in caso di conflitto prolungato, potrebbe trovarsi rapidamente a corto di munizioni standard e non sarebbe in grado di resistere a lungo.

Ed è qui che entra in gioco l’accordo europeo per la difesa comune, con l’offerta di nucleare “condiviso”. Parigi ha un portafoglio che piange. Il debito resta debito. E una Francia che spende già circa 900 miliardi per tenere in piedi il suo modello sociale, un terzo del suo Pil, sarebbe quasi inevitabile tagliare il welfare; a meno che dagli alleati Ue non arrivino fondi importanti per la concessione dell’ombrello. Che è poi quello che di fatto ha già chiesto Macron.

Ci sono ostacoli politici o normativi da superare per allestire questo scudo europeo?

Intanto, nel discorso alla nazione sul riarmo, il presidente è arrivato a dire “la patria chiama”, ma poi ha ribadito che in caso di condivisione dell’ombrello atomico, possibile ma non così vicina, il “pulsante” resterebbe saldo nelle mani del presidente francese. Quindi aperture sì, ma con caveat a cui la Polonia ha per esempio già detto di no.

Se si paga tutti, la decisione non può essere solo di Parigi. In Europa ha innescato reazioni contrastanti, vedi quella di Palazzo Chigi, che ha bocciato di fatto l’offerta. Ma dicendo che si spenderà di più “senza alzare le tasse”, Macron ha incassato in patria una rinascita, e tra gli elettori di tutte le sensibilità: +11 punti tra i neogollisti repubblicani, +5 punti perfino tra i sostenitori di Le Pen del Rassemblement national, +6 punti tra i vicini alla France Insoumise di Mélenchon, +9 punti chi vota Ps. Il 45% ritiene oggi che il capo dello Stato “difenda bene gli interessi della Francia all’estero” (+6 punti).

All’atomica condivisa non credo affatto. A unire le forze per spendere di più e meglio in difesa, come Europa, dal cyber all’energia fino ai droni e alla sicurezza aerea del vecchio continente, sì.

(Paolo Rossetti)

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