Merz e Macron, quasi indifferenti alle rispettive opinioni pubbliche, stanno facendo di tutto per alzare il livello di scontro con la Russia
Se c’è una cosa evidente nella Germania di oggi è che Merz non ubbidisce affatto al suo partito né, men che meno, alla coalizione di governo con i Socialdemocratici. Si potrebbe dire lo stesso di Macron, per la Francia, e di von der Leyen per l’Unione Europea, ma restiamo alla Germania e a quello che lo stesso cancelliere dice del suo partito, ovvero che non si sta “allineando” a lui, e soprattutto a chi lo sostiene.
D’altra parte, se qualcosa è ben evidente, basta non mostrarla troppo; a questo servono i grandi media, anch’essi di certo non obbedienti all’urgenza di cercare e dire la verità.
In Francia il governo Macron, con cui Merz sta stringendo il suo Patto d’acciaio, regge a malapena in parlamento, ma sta in piedi perché attaccato a fili che non necessitano del parlamento. È un concetto che, per l’UE, Mario Monti ha espresso in modo superlativo in un’intervista di qualche tempo fa a Repubblica: “le istituzioni europee hanno accettato l’onere dell’impopolarità, essendo al riparo dal processo elettorale”.
Ci sono poteri che sono al di fuori e al di sopra dei processi elettorali, dato che, in effetti, questi ultimi sono spesso solo un fastidio. Poi, per fortuna di chi comanda, ci sono mille escamotages per evitare di prenderli troppo sul serio.
Ora, è proprio con Macron – e con l’eurocrazia alla Monti – che Merz sta lavorando a un progetto politico che non coincide con il programma del suo (fortemente diviso) partito. Sì, il Ferragosto tedesco (ma c’è poco di così tipicamente tedesco come il Ferragosto) ha portato a Merz un’ondata di dissensi da parte dei vertici, soprattutto regionali, della CDU, per le sue decisioni sullo stop all’export di armi verso Israele.
Il ministro-presidente dell’Assia, Boris Rhein, ha sottolineato che Hamas può essere affrontata “solo con la forza” e ha chiesto un chiaro sostegno militare a Israele. Anche il capo della CDU di Amburgo, Dennis Thering, ha parlato di un “disastro comunicativo” e ha messo in guardia sui segnali negativi inviati ai partner internazionali.
Non facciamoci ingannare dalle apparenze. In realtà la CDU, pur segnata dalla presenza di diverse correnti, è totalmente permeata dall’ideologia neocon, tanto che, a differenza della SPD, partner di governo, concorda unanimemente sulla linea dura – cioè guerrafondaia – nei confronti della Russia e nella “piena solidarietà” con l’Ucraina. Le due cose – sostegno a Netanyahu e a Zelensky – non si escludono affatto, ma il cancelliere tira dritto per la sua strada, anche se pochi hanno capito davvero quale sia, né sembra importargli esplicitarla.
Da un lato, la Germania fa un buffetto simbolico a Israele; dall’altro, insiste per la linea dura, anzi durissima, nei confronti della Russia, apparentemente distanziandosi dalla linea di Trump. La Germania è un Paese a sovranità limitata, con stretti legami militari, politici ed economici con gli USA, ed è quindi improbabile che Merz voglia davvero opporsi fino in fondo all’attuale presidente americano. Lo si è visto con l’atteggiamento remissivo del governo tedesco nei confronti dei nuovi dazi USA.
Ma allora, come si spiega il rafforzamento dell’asse Parigi-Berlino? Di per sé non è affatto una novità, dato che l’ “amicizia franco-tedesca”, almeno dal 1963, è l’asse portante dell’integrazione europea e, da allora, molti sono stati i trattati di mutua collaborazione politica, economica e militare. Merz ha incontrato Macron subito dopo la propria nomina a cancelliere e il 28 agosto gli ha fatto nuovamente visita nella residenza estiva di Fort de Brégançon. A seguire, consiglio dei ministri congiunto; come a dire: la nostra è un’alleanza più forte che mai.
Ora, a parte i progetti di collaborazione militare, il punto più importante emerso è l’aver ribadito il sostegno pieno, senza se e senza ma, all’Ucraina e, quindi, alla prosecuzione della guerra. Macron non ha più una vera maggioranza, e quella di Merz non sembra davvero stabile, se si esclude il fascino per le poltrone e le prebende, fenomeno non solo italiano.
Da dove arriva, allora, questa loro unanimità per una guerra da cui gli Stati Uniti – che l’hanno incoraggiata e sostenuta con Biden – si stanno ora progressivamente distanziando? Chi tira le fila di queste decisioni? Di chi sono strumenti il presidente francese e il cancelliere tedesco?
Malgrado il costante bombardamento mediatico pro-guerra in Ucraina, tanto l’opinione pubblica francese quanto quella tedesca non vogliono questa guerra; francesi e tedeschi non desiderano esserne coinvolti.
Una traccia per avere una risposta, sia pure indiretta, si può trovare nell’indicazione di Monti sulle decisioni “al riparo dal processo elettorale”. Un’altra si può trovare nella visita grandiosamente celebrativa di Macron al Grande Oriente di Francia il 7 maggio scorso. Ed è una traccia che porta dritta a un mondo di logge, magari rivali tra loro, e di élites finanziarie che dei processi elettorali se ne infischiano, o che, nella migliore delle ipotesi, si limitano ad addomesticarli.
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