Settant’anni fa moriva don Josef Toufar, martire degli anni bui dello stalinismo cecoslovacco. Senza essere mai processato, divenne uno strumento per il Partito comunista cecoslovacco per “smascherare” le menzogne della Chiesa cattolica.
È l’11 dicembre 1949, terza domenica di Avvento. Don Josef Toufar sta predicando dal pulpito rialzato, tipico delle chiese barocche, nella sua chiesa nel piccolo villaggio boemo di Čihošť. Mentre pronuncia le parole “Ecco il Signore che è in mezzo a noi”, indicando con la mano il tabernacolo alle sue spalle e continuando a rivolgere lo sguardo ai fedeli, il crocifisso posto sull’altare comincia a oscillare.
Il parroco viene accusato di aver inscenato il “miracolo” e viene arrestato. La Polizia segreta cecoslovacca vuole fargli confessare a tutti i costi l’inganno (ancor oggi il fenomeno prodigioso non è stato chiarito, né si è trovato nessun meccanismo fatto di corde e molle atto a muovere la croce).
Il Partito comunista cecoslovacco ha bisogno di dare una svolta al suo rapporto con la Chiesa cattolica. Nei primi anni successivi al “Febbraio vittorioso” del 1948 ha tentato di introdursi all’interno della Chiesa, di allontanare i vescovi e i sacerdoti dal Papa e di creare una Chiesa nazionale – ben controllata, come il Movimento dei Preti per la Pace – ma senza riuscirvi. Per estirpare la religione, “oppio del popolo”, dalle anime dei fedeli, cerca ora di mettere in ridicolo la gerarchia ecclesiastica e di scoprire i “trucchi” che hanno luogo nelle chiese.
Il protagonista della vicenda, Josef Toufar, nasce nel 1902 e all’età di otto anni perde la mamma. Come i suoi quattro fratelli, anche Josef è costretto ad aiutare il padre nella fattoria e perciò non può continuare a studiare. Ma quando il padre muore e il fratello maggiore si sposa e decide di occuparsi da solo del podere, Josef, all’epoca ventiseienne, può finalmente iscriversi al ginnasio e in seguito accedere agli studi di teologia.
Quando nel 1940 viene ordinato sacerdote, è ormai un uomo maturo che conosce le difficoltà della vita. In prigione dimostra una straordinaria forza d’animo che non si lascia piegare né dal freddo, né dalla fame e nemmeno dalle percosse.
Martoriato, viene riportato a Čihošť e trascinato sul pulpito della sua chiesa, dove viene ripreso in un documentario con lo scopo di dimostrare che da lassù ha potuto muovere la croce. Le scolaresche sono costrette a vedere il filmato che dimostra il comportamento disdicevole di un sacerdote e quindi di tutta la Chiesa cattolica.
Il calvario di don Josef Toufar non finisce qui. Egli viene torturato al punto da dover essere ricoverato in ospedale e sottoposto a intervento chirurgico, ma ormai è troppo tardi: muore poco dopo l’operazione, all’età di 48 anni. La notizia della morte del sacerdote non deve trapelare né dalla prigione, né dall’ospedale e tanto meno dal cimitero. Viene registrato con un nome diverso dal suo e sepolto in una fossa comune; tuttavia un agente della Polizia segreta si annota il punto esatto in cui giace il suo corpo. Questo fatto ha permesso di ritrovare i resti di don Toufar e di dargli una degna sepoltura nella chiesa di Čihošť dopo la Rivoluzione di velluto del 1989.
In questo periodo di incertezza ci aiutano le sue parole: “Il tempo è un bene prezioso. Perciò viviamo come se dovessimo morire oggi, vigilando da uomini saggi”.
Nel 2015 la casa editrice Itaca ha pubblicato il libro di Miloš Doležal intitolalo Come se dovessimo morire oggi, tradotto da Tiziana Menotti. Il libro è attuale e non solo per il settantesimo anniversario della morte del suo protagonista.
La prefazione al libro è del cardinale Dominik Duka, arcivescovo di Praga, e vale la pena di citarne un passaggio, rilevante ancora oggi in particolare per noi europei: “Il ritorno alla ribalta del parroco Toufar e di Čihošť rappresenta il secondo atto della lotta dell’uomo per la libertà e la conferma dell’irriducibilità della fede, di quella fede su cui è costruita tutta la civiltà occidentale e senza la quale non si può vivere da persone libere”.