Strage di Via d'Amelio, cosa è successo il 18 luglio 1992, l'inchiesta sulla morte del giudice Paolo Borsellino tra ombre e depistaggi
Il 18 luglio 1992 morì il giudice Paolo Borsellino insieme agli agenti della scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Claudio Traina, Vincenzo Li Muli e Eddie Walter Cosina, in un attentato di mafia conosciuto come la Strage di Via D’Amelio. Una vicenda che ha segnato la storia d’Italia e che verrà ricordata in occasione dell’anniversario da Tv 2000 con un film e un documentario, che ripercorreranno la storia dell’inchiesta sulla quale stava continuando a lavorare Borsellino nei 57 giorni successivi all’omicidio del collega Giovanni Falcone, con la consapevolezza di essere nel mirino della criminalità organizzata.
Il caso, che per certi versi resta ancora aperto dopo 33 anni, ha avuto un iter giudiziario molto lungo, segnato da numerosi tentativi di depistaggio e misteri irrisolti. Nonostante le sentenze, arrivate nel corso dei vari processi che hanno condannato all’ergastolo alcuni boss, come Salvatore Madonia, Giorgio Pizzo, Cosimo Lo Nigro e Lorenzo Tinnirello, rimangono da chiarire altre responsabilità, soprattutto per quanto riguarda la scomparsa dell’agenda rossa con le annotazioni dell’indagine del pool antimafia di Palermo, ma anche la questione delle fase testimonianze.
Strage di Via d’Amelio, la morte di Paolo Borsellino e il mistero dell’agenda rossa mai ritrovata
Il pomeriggio del 18 luglio, Paolo Borsellino viene ucciso da una autobomba in Via D’Amelio 12. Alle 16.58, quando, come quasi ogni domenica, si era recato a casa della madre dopo essere stato a pranzo con la famiglia nella casa al mare. Gli attentatori si erano appostati sotto l’appartamento, per stabilire il momento esatto nel quale colpire attendendo il passaggio dell’auto blindata. Come stabilì la ricostruzione dell’attentato, il momento esatto dell’omicidio fu quando Borsellino suonò il citofono dell’appartamento della mamma, facendo scattare l’esplosione di una Fiat 126 rossa. Lo scoppio provocò la morte anche dei cinque poliziotti di scorta, la moglie Agnese raccontò poi che stranamente quel giorno suo marito volle andare da solo, come se avesse avuto un presagio di ciò che stava per succedere.
Nei mesi precedenti il pool antimafia di Palermo, con il quale il giudice era tornato a lavorare da poco, stava indagando sui possibili mandanti della strage di Capaci che provocò la morte del magistrato e amico Giovanni Falcone. Di quella inchiesta e dei possibili collegamenti tra i boss mafiosi e le istituzioni e la trattativa stato-mafia, Borsellino aveva scritto nell’agenda rossa che non venne mai ritrovata, nonostante tutti i testimoni dichiararono che al momento della strage si trovasse all’interno dell’auto.