I giudici anti mafia Falcone e Borsellino furono uccisi nel 1992 durante le due stragi di Capaci e via d'Amelio: ecco cos'accadde
La strage di Capaci e la strage di via d’Amelio a Palermo, sono due fra i fatti di cronaca nera che maggiormente hanno segnato la storia del nostro Paese. Se ne parlerà questa sera a Linea di Confine, programma di casa Rai condotto da Antonino Monteleone, in cui si ripercorreranno appunto le due stragi di mafia del 1992.
Giovanni Falcone morì il 23 maggio di 33 anni, quando insieme alla moglie e alla sua scorta stava tornando da Roma, per un fine settimana passato nella sua Sicilia. Dopo l’arrivo in aereo all’aeroporto di Punta Raisi, il giudice salì su una delle tre Fiat Croma della scorta, posizionandosi precisamente alla guida del modello bianco insieme alla moglie Francesca Morvillo, mentre l’autista si posizionò sul sedile posteriore.
C’era poi la Croma marrone, in testa al gruppo, e a chiudere il “convoglio” la croma azzurra: non sapevano ovviamente che stavano andando incontro ad un atroce destino, mentre erano ben informati gli esponenti di Cosa Nostra, appostati nei punti strategici del tragitto di Falcone. E così che appena il giudice si mise al volante della vettura Fiat, qualcuno avvisò i sicari presenti sull’autostrada, in quel di Capaci, dove nel frattempo era già stato sistemato il tritolo da far esplodere.
Non si sa come i mafiosi ricevettero queste informazioni, ma sicuramente ci sarà stato qualche infiltrato ai “piani alti”, visto che le tempistiche del volo del giudice sarebbero dovute rimanere segrete, proprio perchè già si temeva per l’incolumità dello stesso uomo anti mafia.
STRAGE DI CAPACI: GIOVANNI BRUSCA SCHIACCIA IL BOTTONE
Quando le tre Croma del gruppo imboccarono la famosa autostrada che porta a Palermo, una macchina sospetta affiancò le stesse: è il segnale per gli attentatori di far scattare l’esplosivo. Alle ore 17:58, meno di dieci minuti dopo quel fatto, cinque quintali di tritolo posizionati in un tunnel scavato sotto l’autostrada A29, vengono fatti detonare vicino allo svincolo per Capaci, e a schiacciare il telecomando sarà Giovanni Brusca, su incarico diretto del boss Totò Riina. La prima vettura a detonare è la Croma marrone, che farà un volo di diversi metri causa la deflagrazione impressionante.
La Fiat di Falcone non verrà fatta esplodere ma si scontrerà ad alta velocità contro il muro di detriti causato dall’esplosione, e visto che Falcone e la moglie non indossavano le cinture di sicurezza, moriranno per il violento impatto con il parabrezza. I soccorsi arrivarono circa venti minuti dopo le prime chiamate e troveranno il giudice ancora in vita ma in condizioni disperate: dopo il trasporto d’urgenza presso l’ospedale Civico di Palermo, i medici non potranno fare nulla per salvargli la vita, alle ore 19:05 del 23 maggio del 1992, l’Italia intera riceverà la notizia del decesso.
DOPO CAPACI LA STRAGE DI VIA D’AMELIO: COME AVVENNE
La strage di via d’Amelio a Palermo accadde purtroppo soltanto poche settimane dopo. La mafia, ormai incontrollata, decise di ammazzare anche il secondo grande giudice che stava mettendole i bastoni fra le ruote, Paolo Borsellino, amico di Falcone. Il giorno della morte fu il 19 luglio del 1992, quando l’uomo di legge si stava recando dalla madre dopo un pranzo con moglie e figli.
Non sa, purtroppo, che vicino all’abitazione della donna c’è parcheggiata una Fiat 126 con dentro ben 100 chilogrammi di tritolo e che quando il convoglio di Paolo Borsellino transitò vicino, venne fatta detonare uccidendo il magistrato nonché cinque agenti della scorta. Era una morte già scritta, e lo stesso Borsellino lo sapeva visto che, soltanto pochi giorni prima del suo decesso, si era descritto come un “condannato a morte”, confidandosi con qualcuno a lui vicino: “Adesso tocca a me”.
DOPO CAPACI LA STRAGE DI VIA D’AMELIO: LA MORTE DI BORSELLINO SI POTEVA EVITARE
Eppure quel secondo delitto forse si sarebbe potuto evitare, visto che il giudice anti mafia aveva chiesto che in via d’Amelio, dove abitava appunto la madre, venissero rimossi i veicoli dalla zona antistante l’abitazione, domanda che purtroppo rimase inevasa. A differenza della strage di Capaci, quella di via d’Amelio è sempre rimasta in un alone di mistero, a cominciare dal comprendere chi sia stato colui che ha azionato il detonatore, mentre è probabile che la bomba sia stata innescata dal Castello Utveggio, non troppo distante da via d’Amelio. Inoltre, era certo l’arrivo di un carico di esplosivo in quel di Palermo nei giorni precedenti la strage, ma nessuno ne aveva avuto più notizie.
Un ultimo fatto curioso riguarda la famosa “agenda rossa” di Borsellino, che dopo la strage sparì e non venne mai più ritrovata: si mormorava negli ultimi anni che l’avesse Matteo Messina Denaro, ma nessuno ha mai avuto certezza. Quella di Capaci e di via d’Amelio restano le più grandi stragi di mafia della storia italiana: dopo quei duplici attentati Cosa Nostra decise di “abbassare le ali” e nel contempo lo Stato mise in campo tutte le forze per poter decapitare i vertici dell’organizzazione mafiosa, riuscendoci, seppur a fatica, negli anni successivi.
