C'è attesa per le decisioni di politica monetaria della Bce, mentre il contesto internazionale resta contrassegnato dai dazi di Trump
C’è attesa per le decisioni di politica monetaria che la Banca centrale europea prenderà oggi, visto anche il contesto internazionale contrassegnato dall’applicazione dei primi dazi della nuova Amministrazione Trump. Il Presidente di Confindustria Emanuele Orsini ha chiesto all’Eurotower “un atto di coraggio”, con un taglio dei tassi di interesse “di almeno lo 0,5%”, visti il calo degli investimenti e le difficoltà dell’industria europea. Abbiamo fatto il punto con Domenico Lombardi, professore di politiche economiche e governance dell’Eurozona alla Luiss, di cui dirige il Policy Observatory, il quale inizia la sua analisi dal contesto economico europeo, in particolare dall’andamento dell’inflazione.
I dati di Eurostat sull’inflazione sembrano compatibili con una riduzione dei tassi da parte della Bce…
L’inflazione tendenziale a febbraio ha registrato una leggera diminuzione rispetto al mese precedente. La dinamica inflativa continua a essere trainata dal settore dei servizi, che sono più sensibili all’andamento del costo del lavoro, ma va rallentando. Inoltre, i prezzi dell’energia sono cresciuti in maniera più modesta rispetto all’inizio dell’anno. Resta, pertanto, confermata la previsione della Bce secondo cui nei prossimi mesi verrà raggiunto il target di medio periodo pari al 2%.
Cosa si può dire, invece, riguardo l’andamento dell’economia dell’Eurozona?
La Germania resta in stagnazione, ma a seguito delle elezioni gli indicatori congiunturali disponibili, tra cui gli indici Pmi, cominciano a registrare timidi segnali di ripresa. In Francia, invece, la situazione economica si va significativamente deteriorando. Ritengo, quindi, ci siano le condizioni per un taglio del costo del denaro, che è del resto ampiamente atteso nella misura di 25 punti base. Se confermata, questa riduzione porterebbe il tasso principale di riferimento al 2,5%, vicino al tasso neutrale che il Bollettino economico della Bce diffuso il mese scorso colloca nella forchetta 1,75-2,25%.
Il Presidente di Confindustria ha chiesto un taglio di 50 punti base. Difficile che la Bce possa spingersi a tanto?
Sì, soprattutto perché un taglio di tale entità non sarebbe in linea con l’approccio che la Bce ha seguito dallo scorso giugno, quando ha iniziato il percorso di riduzione dei tassi. L’Eurotower, infatti, ha mostrato molto cautela, dichiarando di voler basare le proprie decisioni sui dati. Questo approccio si sostanzia in una riduzione misurata dei tassi: in sostanza, un taglio di 25 punti base a ogni riunione del Consiglio direttivo.
I dazi dell’Amministrazione Trump possono avere qualche ripercussione sulla politica monetaria?
Le tariffe applicate sono significative, generalizzate e vanno a impattare flussi commerciali che, nonostante la pandemia e le frizioni geopolitiche, continuano a essere particolarmente elevati. Negli Stati Uniti potrebbero avere un impatto non solo sull’inflazione, ma anche sulla crescita, che secondo alcuni analisti potrebbe essere rivista al ribasso di ben un punto e mezzo cumulato tra il 2025 e il 2026. Si sta, quindi, alimentando un clima di incertezza. Considerando anche l’effetto sull’inflazione delle restrizioni all’immigrazione, la Fed potrebbe essere indotta a una maggior cautela, limitando l’impatto espansivo che una politica monetaria più accomodante potrebbe avere nel corso dell’anno.
Da oltre un mese si sta parlando di come reagire in Europa ai dazi di Trump. Quale potrebbe essere, a suo avviso, la migliore risposta?
Distinguerei tra una reazione a livello europeo e una a livello italiano. Nel primo caso si dovrebbero applicare dazi su settori o prodotti rilevanti per l’industria americana. Questo consentirebbe anche di avviare un tavolo negoziale tra Bruxelles e Washington. L’Ue dovrebbe, al contempo, concentrarsi sull’espansione dell’offerta aggregata poiché ha un grosso problema di competitività che va affrontato con maggiore cogenza. Le autorità europee dovrebbero, pertanto, sviluppare un’agenda che effettivamente miri ad aumentare la competitività del mercato europeo. In tal senso sarà importante monitorare l’effettiva applicazione dei contenuti della Bussola della competitività presentata a gennaio.
Quale dovrebbe essere, invece, la reazione a livello italiano ai dazi?
Dato che le decisioni sui dazi vengono prese a livello europeo, l’Italia, facendo leva su una relazione di dialogo con l’Amministrazione Usa, potrebbe valorizzare questa relazione speciale attirando ulteriori investimenti esteri, soprattutto americani ma non solo, in grado di espandere l’offerta aggregata, calmierando l’effetto depressivo che i dazi possono avere sulle nostre esportazioni.
I dati comunicati dall’Istat a inizio settimana hanno evidenziato una crescita della spesa per gli interessi sul debito pubblico nel 2024 pari al 9,5%. Se i tassi di interesse continuassero a scendere si potrebbe ridurre questa voce che pesa non poco sul bilancio dell’Italia.
I dati comunicati lunedì dall’Istat sono stati molto importanti. Da un lato, infatti, dicono che l’Italia è cresciuta più di quello che ci si aspettava nell’ultimo scorcio del 2024, confermando la resilienza della sua economia, soprattutto se confrontata con la dinamica di quella degli altri principali Paesi europei, in primis quella tedesca. Dall’altro, la discesa del deficit/Pil dal 7,2% al 3,4% non può che essere valutata positivamente. La spesa per gli interessi è aumentata perché contabilmente riflette l’inasprimento della politica monetaria, ma è anche vero che prospetticamente da giugno è cominciata la discesa dei tassi che proseguirà nell’anno in corso, quindi dovremmo vedere dei risultati migliori sotto questo profilo.
Potrebbe mettersi in moto un circolo virtuoso sui conti pubblici: meno interessi paghiamo, più lo spread scende, più calerà ancora il deficit e si riusciranno a rispettare gli impegni presi in sede europea, nonostante il venir meno del riacquisto di titoli di stato da parte della Bce?
Credo sia quello che il ministro dell’Economia Giorgetti sta cercando di fare dal suo insediamento e di cui l’Italia ha raccolto i frutti, visto il sostanziale dimezzamento dello spread negli ultimi due anni e mezzo, nonostante le difficoltà esterne per il Paese siano nel frattempo aumentate. Non dimentichiamoci, poi, gli effetti del Superbonus sui conti pubblici. Una prova della fiducia e della credibilità delle politiche economiche del Governo è riscontrabile nell’elevata domanda dei nostri titoli di stato: oggi scontano il venir meno della domanda della Bce, che negli ultimi anni è stata un’importante componente di tale domanda. Si tratta, quindi, di un risultato molto significativo.
(Lorenzo Torrisi)
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