TE DEUM/ Lo ringraziamo perché non ci lascia “confusi in eterno”

- Dario Chiesa

Chi ringraziare? Noi stessi, le autorità, il destino? La lode del Te Deum va a Colui che dobbiamo totalmente ringraziare per la nostra esistenza, riconoscendo la nostra pochezza

chiesa apollinare classe pastore 1 VIarte1280 640x300 Ravenna, Sant'Apollinare in Classe, abside, VI sec.

Anche quest’anno, nel suo ultimo giorno, in molte chiese cattoliche si canterà il Te Deum. In molte, perché in altre non sarà possibile, per la guerra o per altre catastrofi, o magari per trascuratezza.

Te Deum laudamus, un inno di ringraziamento, e anche quest’anno ci potremmo chiedere cosa ci sia da ringraziare, come già sottolineava un anno fa don Federico Picchetto. E il 2021 non è stato poi un granché rispetto all’infausto 2020. Certo, uno può ringraziare di essere ancora vivo, di non aver preso il Covid o di aver superato il contagio, di non aver perso il lavoro, e via dicendo. A ben guardare, non è così difficile trovare qualcosa per cui si può ringraziare.

Rimane però un problema: chi ringraziare? Noi stessi, che siamo stati prudenti e coscienziosi, a differenza di tanti altri? Le autorità che hanno dato le istruzioni giuste e sono intervenute propriamente e a tempo? Il destino che per una volta non è stato cinico e baro? O semplicemente ringraziamo perché poteva andare anche peggio, si sa, non c’è mai fine al peggio, e speriamo vada comunque meglio nel prossimo anno?

Nel testo del Te Deum non vi è nessun ringraziamento per una qualche grazia ricevuta, ma un profondo, esistenziale ringraziamento per la Grazia ricevuta: “Tu rex gloriae, Christe. Tu Patris sempiternus es Filius. Tu, ad liberandum suscepturus hominem, non horruisti Virginis uterum. Tu, devicto mortis aculeo, aperuisti credentibus regna caelorum. (O Cristo, Re della gloria, eterno Figlio del Padre, Tu nascesti dalla Vergine Madre per la salvezza dell’uomo. Vincitore della morte, hai aperto ai credenti il Regno dei Cieli).

Dio si è fatto uomo per la nostra salvezza, sconfiggendo la morte e dovremmo fare nostro il grido di San Paolo: “Morte, dov’è il tuo pungiglione?”. La morte non è più la fine di tutto, ma il passaggio alla vera vita.

Infatti, il Te Deum è un canto di lode a Colui che dobbiamo totalmente ringraziare per la nostra esistenza, per tutti coloro che ci attorniano e per tutto ciò che ci circonda. “Te Deum laudamus: te Dominum confitemur. Te aeternum patrem, omnis terra veneratur.” (Noi ti lodiamo, Dio, ti proclamiamo Signore. O eterno Padre, tutta la terra ti adora).

E con il ringraziamento viene anche la preghiera, la richiesta di figli coscienti della propria debolezza: “Te ergo quaesumus, tuis famulis subveni, quos pretioso sanguine redemisti. Aeterna faccum sanctis tuis in gloria numerari.” (Soccorri i tuoi figli, Signore, che hai redento col Tuo sangue prezioso. Accoglici nella tua gloria nell’assemblea dei santi).

Lode e ringraziamento, riconoscendo la nostra pochezza, ma certi della Sua amicizia, anzi paternità: “Fiat misericordia tua, Domine, super nos, quem ad modum speravimus in te. In te, Domine, speravi: non confundar in aeternum.” (Sia sempre con noi la tua misericordia: in te abbiamo sperato. Pietà di noi, Signore, pietà di noi.
Tu sei la nostra speranza, non saremo confusi in eterno).

“Non saremo confusi in eterno”: quale migliore augurio per questo tempo in cui la confusione sembra dominare? Che questa speranza, questa attesa ci accompagni anche nel nuovo anno.





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