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Home » Politica » TERZO MANDATO/ Legge della Campania incostituzionale, ma c’è un problema (di volontà popolare) da risolvere

  • Politica

TERZO MANDATO/ Legge della Campania incostituzionale, ma c’è un problema (di volontà popolare) da risolvere

Stelio Mangiameli
Pubblicato 10 Aprile 2025
Vincenzo De Luca, governatore della Campania (Ansa)

Vincenzo De Luca, governatore della Campania (Ansa)

La Corte costituzionale ieri ha stabilito che la legge sul terzo mandato della Regione Campania è incostituzionale. De Luca non potrà ricandidarsi

La Corte costituzionale ieri ha reso noto, con un comunicato stampa, che la legge della Regione Campania contenente una particolare interpretazione del divieto del terzo mandato è incostituzionale. Infatti la legge regionale in questione, facendo decorrere il computo dei mandati per l’ineleggibilità dello stesso candidato presidente dalla sua entrata in vigore, avrebbe consentito all’attuale presidente Vincenzo De Luca di fatto di candidarsi per un terzo mandato.


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Non sono ancora note le motivazioni giuridiche della decisione, anche se si può dire sin d’ora che la legittimità del divieto del terzo mandato era insita nella giurisprudenza della Corte, la quale ritiene il divieto necessario in un sistema che prevede l’elezione diretta delle cariche di governo per evitare che si possano determinare delle alterazioni del rapporto di investitura alla carica da parte del corpo elettorale. Il divieto pertanto sarebbe una misura necessaria per evitare che si formino delle posizioni di potere che possano nuocere alla libera determinazione degli elettori e alla nostra democrazia.


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La limitazione dei mandati di governo esprime una giusta preoccupazione che il legislatore statale ha previsto in un secondo momento nella legge di cui all’art. 122, comma 1, della Costituzione, la quale vincola la competenza regionale in materia elettorale e impone al legislatore regionale una conformazione immediata, a prescindere dal momento in cui formalmente la legge elettorale regionale sia stata rivista.

Infatti la Corte specifica nel suo comunicato che “Il divieto del terzo mandato consecutivo opera, per tutte le Regioni ordinarie, dal momento in cui esse hanno adottato una qualsiasi legge in materia elettorale, nel contesto di una scelta statutaria a favore dell’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale”.


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Il tentativo del presidente De Luca di superare l’operatività del principio-limite previsto dalla legge statale è stato perciò messo fuori gioco;

Del resto, era evidente sin dal primo momento che, nel contesto istituzionale italiano, la questione del terzo mandato, al di là dei termini giuridici in cui è stata posta e risolta, investe un problema di ordine politico, nel quale peraltro si è registrata una convergenza di opinione tra la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e la segretaria del Pd Elly Schlein.

Entrambe sono contrarie al terzo mandato, più che per una questione di principio, per un interesse politico concreto: per la prima, nell’ottenere alla prossima tornata elettorale la guida di una Regione importante del Nord, come il Veneto, e, per la seconda, nel riuscire a depotenziare – anche a costo di perdere la guida della Regione Campania – la posizione di una figura come De Luca, ritenuto non in linea con la prospettiva politica dell’attuale segreteria del Pd.

Resta ancora però un problema istituzionale non indifferente, e cioè il rapporto interno ai partiti politici, che presenta profili costituzionali non secondari, alla luce dell’art. 49 Cost.

Infatti, è noto che esiste ormai da tempo una frattura considerevole all’interno dei partiti politici tra il gruppo dirigente nazionale e il territorio, una frattura, questa, che è anche alla base della disaffezione alla politica e dell’allontanamento degli elettori dal voto; ed è indubbio che presidenti come Zaia e De Luca esprimono una rappresentatività dovuta ad un forte legame con il territorio, che invece manca a moltissimi deputati e senatori della Repubblica.

I gruppi dirigenti dei partiti sono oligarchici, non democraticamente determinati e, soprattutto, non più rappresentativi dei territori e, se questi intendono partecipare per essere decisivi nelle scelte politiche, le oligarchie centrali tengono a distanza militanti e base elettorale. I parlamentari sono, in tal senso, referenziali al gruppo dirigente nazionale che determina le candidature e, non a caso, la legge elettorale in vigore (e le altre precedenti, a partire dalla legge Calderoli) salvaguarda(vano) il potere delle segreterie.

Anche la scelta dei presidenti delle Regioni e quella dei sindaci delle grandi città sono rivendicate dal gruppo dirigente nazionale, mentre il resto delle cariche elettive – sindaci e consigli, compresi quelli regionali – sono stati abbandonate dalla politica nazionale. Non è un caso che in questo ambito siano ormai fioriti in Italia candidati e liste civiche che nulla o ben poco hanno a che fare con i partiti politici.

Se quanto osservato è vero, allora risulta evidente che i nostri partiti politici attuali sono fuori dalla previsione costituzionale per la quale “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”, cioè i partiti dovrebbero essere lo strumento messo a disposizione dei cittadini per una partecipazione continua alla politica nazionale e non un gruppo oligarchico  a cui si può esprimere una preferenza solo con il voto.

Inutile dire che questi partiti politici sono alla base della sfiducia verso la democrazia rappresentativa che nel nostro Paese è ormai dominante.

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Tags: Vincenzo De LucaLuca Zaia

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