I russi mettono in guardia da un’escalation. Trump valuta di fornire i missili Tomahawk all’Ucraina: ecco perché sarebbe una svolta nel conflitto
Trump vorrebbe fornire i missili Tomahawk agli ucraini, ma così facendo dovrebbe mettere a disposizione anche personale che li sa far funzionare. E Putin ha già fatto notare che significherebbe un coinvolgimento degli USA nella guerra in Ucraina. Il pericolo dell’escalation, insomma, è sempre dietro l’angolo e i russi ne sono ben consapevoli, tanto da dichiararlo a più riprese, mentre l’Europa, osserva Marco Bertolini, generale della Brigata Folgore e comandante di numerose operazioni speciali in Libano, Somalia, Kosovo e Afghanistan, sottovaluta questa possibilità. Continua a parlare di riarmo per fronteggiare il pericolo russo, con la conseguenza che a Mosca qualcuno potrebbe pensare che a questo punto sarebbe meglio attaccare subito, per sfruttare le attuali debolezze della controparte dal punto di vista militare. L’invito di Erdogan (imboccato da Trump) a Putin di cercare con più convinzione la pace fa il paio con il rischio che la guerra si estenda a dismisura, con esiti imprevedibili.
Trump sembra orientato a fornire i Tomahawk agli ucraini ma vuole sapere come li useranno. Putin fa sapere che se lo facesse la guerra cambierebbe: sarebbe il segnale di un’escalation. La situazione si sta aggravando?
Intanto bisogna vedere se l’affermazione di Trump sarà seguita dai fatti o se fa parte della sua strategia comunicativa: si è contraddetto in più di un’occasione. Se dovesse dare questi missili a Kiev sarebbe un passaggio importante, non tanto per le armi in se stesse, che permetterebbero di colpire in profondità la Russia pur essendo di vecchia concezione, ma per il fatto che non possono essere usate dagli ucraini se non con il supporto degli occidentali, in particolare dagli Stati Uniti.
Putin sulla TASS fa notare proprio questo: i Tomahawk funzionerebbero solo in presenza di soldati americani che assistono gli ucraini. Quanto peserebbe una circostanza come questa?
È la stessa cosa che Putin ha detto quando si parlava dei missili Taurus tedeschi: “Se vengono forniti a Kiev – aveva detto il capo del Cremlino – significa che la Germania è in guerra”. Il coinvolgimento degli Stati Uniti darebbe per forza di cose il via a una rappresaglia contro i Paesi della NATO. Gli Stati Uniti, con l’arrivo di Trump, hanno preso le distanze da questa guerra; fornendo i Tomahawk queste distanze non ci sarebbero più.
Potrebbero cambiare anche i rapporti degli USA con Mosca?
Per ora, nonostante quello che appare, i colloqui fra russi e americani stanno andando avanti e probabilmente anche a questi incontri si deve quello che sta succedendo in Medio Oriente.
Erdogan, intanto, ha telefonato a Putin esortandolo ad avere più slancio nel cercare la pace. Un segnale che le trattative si possono riprendere?
Della Turchia è un po’ che non si parla. Ai tempi di Biden aveva rimarcato una certa distanza dalle posizioni americane, con Trump non è più così. Probabilmente è stata ripresa al guinzaglio dagli americani: prima sembrava una scheggia impazzita, aveva preso una sua direzione autonoma, adesso pare sia rientrata nei ranghi, probabilmente perché c’è un rapporto diverso con il nuovo presidente statunitense.
Come si spiega allora l’invito di Erdogan a Putin?
Credo che in realtà sia un invito di Trump. Erdogan fa un po’ il portavoce del presidente americano. Però in queste circostanze bisogna fare attenzione a non trovare troppi aspetti positivi in una situazione che è negativa. Siamo in un momento drammatico, in cui sicuramente in Europa c’è chi vuole la guerra. Ci sono cancellerie europee che non hanno futuro se si arrivasse alla pace: sarebbe come certificare la loro sconfitta.
I russi ripetono spesso che l’Europa sta giocando con il fuoco e che c’è il rischio di un’escalation: i servizi segreti di Putin sostengono che gli inglesi stanno organizzando un incidente contro una nave straniera per poi addebitarlo ai russi. Quelle di Putin, Lavrov e Peskov sono solo schermaglie verbali o temono veramente un aggravamento della guerra?
Certo che hanno paura di un’escalation. Quello che è strano è che noi europei non temiamo questa prospettiva. Putin sa che la guerra costa tanto sangue anche ai russi, che non sono una popolazione sterminata da un miliardo e oltre di persone come Cina e India: parliamo di un Paese di 140-150 milioni di abitanti che sta subendo perdite importanti. La Russia deve chiudere questa partita in un modo o nell’altro, però al tempo stesso non può neanche perderla. L’escalation per i russi è una grossa preoccupazione.
Perché l’Occidente, invece, non comprende a pieno il pericolo che sta correndo?
Prendiamo il piano di riarmo dell’Europa. Ho sempre auspicato, durante la mia vita professionale, che ci fosse una maggiore attenzione nei confronti delle forze armate. Ma una cosa è dire che dobbiamo potenziarle, un’altra è che bisogna farlo perché tra cinque anni ci sarà una guerra contro la Russia. Se Mosca sente richiamare questi ragionamenti continuamente fa uno più uno uguale due e pensa che gli europei stiano pianificando un conflitto contro i russi, altrimenti perché dovrebbero spendere tanti soldi per gli armamenti? Di fronte a una prospettiva del genere qualcuno in Russia potrebbe essere tentato di dire che sarebbe meglio attaccare subito, prima che i fondi investiti aumentino le capacità militari della controparte.
(Paolo Rossetti)
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