Secondo il rapporto Ocse 2021, nel mondo si sono persi nel 2020, per effetto della pandemia, 114 milioni di posti di lavoro, ma con grandi differenze e disparità: la pandemia ha ampliato le disuguaglianze, aggravando le differenze sociali ed economiche nel pianeta, generando milioni di nuovi poveri.
Ma a livello mondiale i paesi che hanno ammortizzato meglio l’urto del Covid-19 sono stati quelli dell’Unione europea, come ha evidenziato Maurizio Ferrera in un recente intervento. Infatti sotto la spinta della pandemia la Ue, nel luglio del 2020, con il varo del Next Generation Eu ha avviato un cambio di passo importante.
Invertendo la rotta, è passata dalla, fino ad allora dominante, politica dell’austerity a un’Europa solida, unita e solidale, che ha impegnato il proprio bilancio, emettendo debito comune, per sostenere i suoi paesi, l’Italia in primis, più colpiti dalla crisi.
Si è vista un’Unione capace di compiere scelte inedite e fino a poco prima impensabili. Di fronte alla pandemia abbiamo visto in azione il modello sociale europeo, cioè un insieme di sistemi nazionali di protezione, nel welfare, nel lavoro e nella sanità soprattutto, sostenuti e rafforzati dall’Unione europea. C’è stato un intervento diretto della Ue, tramite spesa pubblica finanziata da debito comune, per aiutare i paesi più colpiti dalla pandemia e questo ha permesso di non essere travolti dagli effetti catastrofici del Covid.
Si pensi non solo al Next Generation Eu, ma anche alla sospensione delle regole del Patto di stabilità, all’energica azione della Bce che si è sostanzialmente comportata come una banca centrale assicurando la sostenibilità dei debiti sovrani, al Sure e a varie altre misure per contrastare la povertà e l’esclusione sociale nei paesi europei. Tentativamente l’Europa si è mossa affinché nessuna persona venisse lasciata indietro, riconoscendo di fatto che benessere economico e benessere sociale sono inscindibili e che non è vero sviluppo quello che aumenta le disuguaglianze.
Questo modello sociale europeo, ben incarnato dal semestre di presidenza portoghese Ue, che il Cnel ha evidenziato in un convegno del luglio scorso, ha salvato vite umane e posti di lavoro, dimostrando che un’Europa equa e sostenibile sa essere anche solidale verso i paesi più deboli.
Parallelamente a questo modello in atto, la recente crisi in Afghanistan, con la precipitosa ritirata dell’America da quello scenario, ha dimostrato che non esiste più alcun altro modello di coabitazione e integrazione in un mondo con realtà contrapposte e diversissime tra loro. Non c’è più alcun modello né americano ma evidentemente neppure cinese o russo: esistono solo interessi particolari, nazionali e non, che si combattono senza nessuna ricerca del bene comune.
La pandemia e Kabul dovrebbero averci resi coscienti che, pur con mille limiti e contraddizioni, l’unico modello che può tentare di generare convivenza e condivisione tra diversi è il modello sociale europeo: esattamente come l’avevano pensato, dopo la Seconda guerra mondiale, i nostri padri fondatori, da De Gasperi ad Adenauer, da Schuman a Spinelli.
L’Europa, se rendesse stabile e non più una tantum, la svolta iniziata con il Next Generation Eu, se smettesse di essere nano politico e gigante burocratico, se accettasse di essere più integrata su alcune poche materie fondamentali, avrebbe, nei vuoti che il dopo Kabul apre, uno spazio enorme. Uno spazio politico ed economico, ma soprattutto uno spazio culturale e valoriale, essendo l’unico esempio nel mondo di convivenza libera e civile tra diversi.
Adesso l’Europa deve scegliere: o la strada della costruzione a lungo termine degli Stati Uniti d’Europa, o quella di una sostanziale irrilevanza con conseguente irreversibile declino di tutti i suoi paesi.