UE, GUERRA, ENERGIA/ Sapelli: gli errori di Bruxelles stanno per liquidare l’Europa

- Giulio Sapelli

Regna il caos in Europa su come fronteggiare la crisi energetica. Non si capisce che se ognuno va per conto suo l'intero eurosistema è destinato a crollare

parlamento europa 3 lapresse1280 640x300 La sede di Strasburgo del parlamento europeo (LaPresse)

Se si volesse illustrare con chiarezza che cosa significhi il termine entropia, ossia il grado crescente di disordine in cui un sistema istituzionale può precipitare irreversibilmente, basterebbe seguire cronologicamente ciò che è accaduto in Europa, anzi, scusate, nella rete decisionale della “nuova classe” formatasi in Europa dopo i Trattati. Questa “nuova classe”, così come la definiva Milovan Gilas nel 1957 in quel capolavoro che era ed è La nuova classe. Una analisi del sistema comunista, ha la sua sede principale a Bruxelles e a Strasburgo con una serie di rappresentanze infinitamente proliferanti in tutto il mondo.

Ricordiamo insieme i fatti: si è precipitosamente parlato di “price cap” del solo gas russo e solo dopo qualche tempo si è scoperto che far ciò non ha senso alcuno, per il fatto che l’importazione Ue di gas russo diminuisce ogni giorno. Dinanzi a ciò la decisione tedesca di triplicare i fondi per opporsi alla desertificazione industriale e al dolore sociale che deriva dalla risposta russa alle sanzioni Usa-Ue rende evidente che una simile soluzione (su scala nazionale) ha senso solo in Germania e in quelle poche altre nazioni europee che hanno un basso debito pubblico e un accesso favorevole al mercato dei capitali. Un colpo ferale alla retorica della solidarietà Ue, che pure attraverso la mutualizzazione del debito sui mercati internazionali si era delineata nei tempi del Covid.

Del resto, la storia industriale e istituzionale insieme dell’Europa degli ultimi trent’anni dimostra indubitabilmente che la Germania agisce sempre nello stesso modo: al delinearsi della crisi Berlino muove alla salvezza della propria economia e se accetta soluzioni comuni è solo per evitare quelle forme di dissoluzione del mercato unico che, se diffusesi, comporterebbero gravi danni all’industria e ai commerci tedeschi.

Se ben si riflette, la proposta della serafica von der Leyen mira a definire un equilibrio fra il mercato (con la costruzione di un “benchmark” con indici di riferimento diversi dei prezzi del gas) e quel “corridoio amministrato” di prezzo per i negoziati con i fornitori. Si dovrebbe operare in una forma obbligata e amministrata a cui gli Stati firmatari dei Trattati dovrebbero sottoporsi. A questo punto scatta l’entropia. La Germania tace sulla proposta von der Leyen, mentre la Commissione, invece, pare sempre più favorevole al “price cap” sul gas quando questo si usa per produrre elettricità, senza operare, però, per un disaccoppiamento dei prezzi tra gas ed elettricità, che è il problema essenziale, unitamente all’abbandono della formazione borsistica dei prezzi e al ritorno, invece, ai contratti take or pay, con contratti a lungo termine tra venditori e compratori, come era un tempo sino agli anni Novanta del Novecento.

Va notato che la disaggregazione statuale imprigionata da regole astratte avanza: 15 Stati sono favorevoli al tetto generalizzato, senza preoccuparsi del fatto che due terzi del mercato del gas sono usati dall’industria e non per la generazione elettrica. Chi paga la differenza tra il prezzo di mercato del gas e il prezzo di riferimento? In Spagna e in Portogallo lo Stato è rapidamente intervenuto, ma nessun altra nazione ha seguito con tale determinazione questa strada, a parte il colosso tedesco, ma non tutti i Paesi possono permettersi di fare lo stesso.

Nel mentre si gioca questa partita, senza trovare nessuna soluzione unitaria di sistema, Francia e Italia, per tener fede al Trattato che le lega, lanciano l’idea di un Sure 2, ossia di un nuovo fondo per prestiti diretti a generare cassa integrazione per i disoccupati, grazie a emissioni di debito “garantite”. Il premier olandese Rutte ha subito espresso la sua contrarietà e i tedeschi hanno fatto intendere che di emissione di debito comune non si deve più parlare… Pensate un po’… Se una discussione si riaprirà sulla mutualizzazione del debito essa dovrà, quindi, superare una frammentazione sempre più accentuata delle volontà statuali che rispondono in forme molto diverse alla crisi economica che si delinea con una forza e una determinatezza desertificante che non si è mai verificata prima.

Ecco il disordine: ognuno va per conto suo. Ma è possibile far questo senza crollare tutti insieme, ricchi e poveri, frugali e spreconi?

La tragedia non diventa farsa, rimane tragedia: la “classe” dei burocrati eurocratici non si rende conto che crollano non solo i muri di Berlino, ma anche quelli di Bruxelles, se si conduce la nave senza saper reggere il timone.

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