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Home » Esteri » Europa » UE/ Perché nel dibattito sull’aborto la Commissione è già schierata contro la vita?

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UE/ Perché nel dibattito sull’aborto la Commissione è già schierata contro la vita?

Paola Binetti
Pubblicato 11 Ottobre 2025
La presentazione delle firme raccolte per la proposta di My Voice My Choice (Ansa)

La presentazione delle firme raccolte per la proposta di My Voice My Choice (Ansa)

Una petizione dell’associazione My Voice, My Choice riapre il tema delle tutele pro aborto. Ma si dimentica una analoga petizione pro Life oggi ignorata

Il tema dell’aborto sta tornando in pole position nel dibattito sui diritti umani e, almeno in Europa, ogni giorno si torna a sollecitare il riconoscimento del diritto delle donne all’aborto, che va ben oltre la depenalizzazione dell’aborto.

La legge 194 fin dal 1978 include un’adeguata informazione, una effettiva sicurezza e il servizio è del tutto gratuito. Certamente come tutta la rete dei servizi sanitari il ricorso all’aborto è spesso soggetto a ritardi, ad una burocrazia che può essere fastidiosa; non sempre il personale è empatico e disponibile, a volte ci sono vincoli ed ostacoli di varia natura. Ma in Italia e in Europa è comunque possibile abortire con piena tutela della propria salute riproduttiva.


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Ma tutto ciò non basta a chi vuole far riconoscere l’aborto come diritto di rango costituzionale. In Spagna Sánchez ha proposto di inserirlo in Costituzione, come aveva fatto nel marzo 2024 Macron in Francia, inserendolo con l’articolo 34 della Costituzione.

L’ultima sollecitazione arriva da un gruppo di attiviste e attivisti dell’associazione My Voice, My Choice (La mia voce, le mie scelte), che ha presentato ufficialmente alla Commissione europea – concretamente, alla Commissaria alla parità Hadja Lahbib – la sua proposta.


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La richiesta degli attivisti è duplice: da un lato permettere ad ogni donna che lo desidera di poter abortire in un Paese europeo a sua scelta, creando un fondo economico dedicato, e dall’altro garantire che l’aborto avvenga in sicurezza e non pregiudichi le condizioni di salute delle donne. L’iniziativa sottolinea le grandi disparità esistenti tra i singoli Paesi membri per l’accessibilità all’interruzione volontaria di gravidanza.

Il gruppo di attivisti di My Voice, My Choice per fare la sua proposta ha utilizzato una piattaforma disponibile per tutte le iniziative dei cittadini europei, l’ICE, attraverso la quale si possono avanzare richieste o proposte di legge ai vari governi europei, se si raggiungono almeno un milione di firme provenienti da sette o più Stati membri. My Voice, My Choice ha di fatto superato il milione di firme richieste; di queste oltre 165mila provengono dall’Italia. La risposta della Commissione non arriverà comunque prima del marzo 2026.


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La sede della Commissione europea a Bruxelles (Ansa)

La richiesta degli attivisti di My Voice, My Choice include anche una proposta di carattere economico: creare un fondo per aiutare le donne costrette a cambiare Paese per ricorrere all’aborto chiedendo alla Commissione, in spirito di solidarietà, di sostenere finanziariamente gli Stati membri disposti a garantire a chiunque in Europa non abbia ancora accesso all’aborto sicuro e legale la possibilità di mettere fine alla gravidanza in condizioni di sicurezza.

Secondo My Voice, My Choice il mancato accesso all’aborto in molte parti d’Europa provoca non solo danni fisici, ma sottopone le donne e le famiglie (spesso ai margini della società e prive di mezzi) a un ingiusto stress economico e psicologico.

Hadja Lahbib, Commissaria europea per la resilienza, gli aiuti umanitari e la gestione delle crisi e l’uguaglianza, ha sottolineato la delicatezza della questione, ribadendo: “È di competenza degli Stati membri, ma spero che saremo in grado di proteggere la vita delle donne”.

Il che restituisce ad ogni Stato la propria responsabilità, cominciando proprio dal fatto che laddove sussiste una legge, e in Europa tutti i Paesi hanno una loro legge che depenalizza l’aborto, l’aborto possa e debba avvenire nel massimo rispetto e nella piena tutela della salute della donna.

Certamente non in tutti i Paesi l’aborto è considerato un diritto e la normativa pone regole e criteri parzialmente diversi in ciascun Paese, ma in Europa è possibile abortire ovunque e non c’è bisogno di cambiar Paese, per cui non si capisce perché l’Unione Europea dovrebbe finanziare i Paesi disposti ad accogliere donne che desiderano abortire, quando possono farlo nel loro Paese.

Diverso è sollecitare ogni Paese al rispetto della propria normativa, di cui è parte integrante la tutela della salute della donna, dal momento che questa è sempre stata una delle condizioni principali fin dall’origine del dibattito sull’aborto. Occorre porre fine agli aborti clandestini e garantire alle donne di poter abortire in sicurezza, perché la salute della donna è davvero un vero e proprio diritto, che niente e nessuno possono mettere in discussione.

Ma Hadja Lahbib, quando dovrà rispondere alla richiesta di My Voice, My Choice, dovrà porsi contestualmente anche un altro interrogativo davanti alla gestione di una delle crisi più gravi che l’Europa sta attraversando: la crisi demografica, che vede invecchiare velocemente il vecchio continente (nomen omen!).

In questo caso varrebbe la pena chiedersi se non fosse necessario istituire un fondo europeo per promuovere la natalità. Contestualmente Lahbib dovrebbe chiedersi anche che ne è stata della famosa raccolta di firme promossa qualche anno fa con la campagna “One of Us”, utilizzando una analoga piattaforma, che richiedeva ugualmente un milione di firme raccolte in sette Paesi diversi.

Il grande attivista di allora fu Carlo Casini, sostenuto dai tanti movimenti per la vita presenti in tutta Europa, e raccolse ben oltre 2 milioni di firme. Per due volte, l’allora parlamentare europeo si spese per mobilitare l’opinione pubblica a favore dell’embrione, il testimone muto di ogni aborto. L’obiettivo sottoposto all’adesione dei cittadini suonava così: “L’embrione umano merita il rispetto della sua dignità e integrità”.

Di quella proposta, di quella raccolta firme, di fatto non si fece nulla. Forse qualcuno la considerò ideologicamente schierata dalla parte della vita, ma comunque quegli oltre 2 milioni di sostenitori avrebbero meritato ben altro rispetto.

Oggi la Piattaforma ICE, attraverso la nuova associazione di attivisti pro aborto, pone una nuova richiesta, anche questa ideologicamente orientata, che merita certamente una risposta; ma proprio il principio di uguaglianza di cui Lahbib è garante esige che si dia risposta anche alla precedente richiesta di più del doppio dei cittadini europei.

Non è in discussione il diritto della donna ad avere le maggiori garanzie possibili per la sua salute, ma quell’antico dilemma che non intende giudicare la donna che sceglie l’aborto, e tanto meno condannarla, ma, non potendo ignorare il chi è del soggetto che si intende abortire, non può neppure considerare un diritto l’aborto.

L’UE dal canto suo ha sancito la protezione della salute umana all’articolo 3 della sua Carta dei diritti fondamentali, stabilendo che “Ogni persona ha diritto alla propria integrità fisica e psichica”. E anche questo è un principio che non può essere ignorato.

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