Qualche mese fa durante uno dei suoi soliti interventi pubblici il filosofo Umberto Galimberti si è lanciato in un’interessante riflessione – che sta tornando ora in voga sui social – sui regali sempre più presenti nella vita dei giovani e giovanissimi che sanno già per certo che riceveranno oggetti (il più delle volte inutili o già dimenticati qualche ora più tardi), vestiti o quant’altro pressoché in ogni occasione festiva: l’esito di questo atteggiamento – che spesso nasconde un doppio fine per certi versi subdolo, ma ci torneremo a breve – è che così facendo secondo Umberto Galimberti si finisce per allevare figli che non capiscono più l’importanza del desiderio, dell’attesa e – soprattutto – dell’impegno.
La riflessione di Umberto Galimberti parte – non a caso – da un ricordo personale di quando era piccolo e povero e con i suoi amici “inventavamo dei giochi” come il semplice lanciare i tappi delle penne immaginando che “fossero i corridori del Tour de France”: giochi che – spiega – “visto che erano fatti da noi ci interessavano e avevano un momento creativo” a differenza degli attuali doni che “oltrepassano il desiderio dei ragazzi” finendo per “uccidere il desiderio” e creando un futuro nel quale “i giovani non vogliono cambiare il mondo” dato che “per farlo, occorre avere un desiderio”.
Umberto Galimberti: “Provate a chiedere ai vostri figli se sono felici, invece che coprirli di regali”
Questa abitudine coprire i figli di regali – insomma – secondo Umberto Galimberti è tutt’altro che positiva, oltre a nascondere il fatto che “a te [genitore] ti compensano perché hai parlato così poco che preferisci sostituire la parole mancate con i regali che fai”; mentre recuperando un suo vecchissimo discorso di ormai due anni fa, ricordiamo anche che in quell’occasione precisò che “i padri tendono a non parlare tanto con i bambini perché si annoiano e le madri ci parlano ad un livello fisico” limitando a sondarne – generalmente – lo stato di salute, ma senza mai “fare una domanda psicologica come ‘sei felice’” che a suo avvisto lascerebbe addirittura “il bambino sconcertato rispetto all’improbabilità che arrivi una domanda del genere”.