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Home » Donna² » ABORTO FARMACOLOGICO, SPERANZA CHIEDE PARERE CSS/ Ieri stop Umbria per day hospital

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ABORTO FARMACOLOGICO, SPERANZA CHIEDE PARERE CSS/ Ieri stop Umbria per day hospital

Aborto farmacologico in day hospital: arriva lo stop della Regione Umbria. Serve ricovero in ospedale di almeno tre giorni. E ministro Roberto Speranza chiede nuovo parere a Css

Silvana Palazzo
Pubblicato 16 Giugno 2020 - Aggiornato alle ore 16:21
bollettino coronavirus italia

Ministro della Salute Roberto Speranza e il viceministro Pierpaolo Sileri (LaPresse, 2020)

Il ministro della Salute Roberto Speranza chiede un nuovo parere al Consiglio Superiore di Sanità in merito all’aborto farmacologico. Dopo la decisione della governatrice dell’Umbria, Donatella Tesei, di cancellare la delibera regionale che permetteva di ricorrere alla pillola Ru486 col day hospital, il ministro vuole capire se la salute della donna sia tutelata col semplice day hospital o se siano necessari tre giorni di ricovero in ospedale, come stabilito dall’ultimo parere in materia. Così Speranza prova a dare una risposta dopo le polemiche scatenate dal caso Umbria. In effetti, le linee guida del ministero della Salute emanate nel 2010, quando la pillola Ru486 arrivò negli ospedali italiani, consigliano tre giorni di ricovero. Ma molte regioni – come Toscana, Emilia, Lazio e Liguria – hanno continuato ad adottare il day hospital. Tra l’altro durante la fase più difficile dell’emergenza coronavirus, la Sigo, una delle più importanti società di ostetricia e ginecologia, aveva chiesto che la Ru486 fosse somministrata senza ricovero, auspicando anche il passaggio da 7 a 9 settimane per la richiesta dell’aborto farmacologico. (agg. di Silvana Palazzo)


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ABORTO FARMACOLOGICO, UMBRIA CANCELLA DELIBERA

L’Umbria vieta l’aborto farmacologico in day hospital. Le donne che intendono sottoporsi all’interruzione volontaria della gravidanza devono programmare un ricovero in ospedale di almeno tre giorni. Lo ha stabilito la Regione guidata dalla leghista Donatella Tesei con una delibera. È stata quindi abrogata la decisione presa dalla precedente amministrazione di centrosinistra. Inevitabilmente la delibera ha suscitato diverse reazioni. C’è il senatore integralista cattolico Simone Pillon che plaude a questa svolta, mentre le opposizioni e le associazioni delle donne protestano per questa restrizione. Cosa prevede la legge 194? L’aborto va effettuato solo dietro ricovero ospedaliero, ma le singole regioni possono organizzarsi diversamente. Così la Regione Umbria guidata nel 2018 da Catiuscia Marini introdusse la possibilità di abortire con la pillola RU 486 entro la settima settimana di gravidanza. Inoltre, era stato chiesto agli ospedali di organizzarsi in modo che le donne potessero abortire anche in day hospital o anche solo con l’assistenza domiciliare. Ma la nuova giunta ha cancellato questa possibilità interpretando in maniera più restrittiva la legge 194.


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STOP ALL’ABORTO FARMACOLOGICO IN UMBRIA: LE REAZIONI

La possibilità di abortire con la pillola RU 486 fu introdotta in Italia nel 2009, ma ci fa ricorso un numero ancora limitato di pazienti. Invece nel Nord Europa il 90 per cento degli aborti viene effettuato con la terapia farmacologica. Nel 60 per cento dei casi in Francia. Invece in Italia la percentuale si ferma al 18 per cento, nonostante le associazioni dei ginecologi la considerino la pratica meno pericolosa per le donne. «Da oggi evitiamo che la donna sia lasciata sola davanti a eventuali rischi come emorragie, infezioni o altre complicanze», dichiara Simone Pillon, commissario della Lega in Umbria. «Viene reso volutamente a ostacoli il percorso per ottenere l’ozione farmacologica», replica il gruppo consiliare del Pd. L’Associazione Luca Coscioni invece ha chiesto di incontrare i vertici della Regione Umbria per discutere di questa delibera sull’aborto. «Risulta difficile comprendere i motivi di questo gravissimo ritorno indietro, che mette in pericolo il diritto alla salute e all’autodeterminazione delle donne. Se i membri della giunta sono a conoscenza di dati scientifici nuovi, sarebbero tenuti, a tutela della salute pubblica nazionale e internazionale, a renderli pubblici».


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