Unicredit ha annunciato il ritiro dell'Offerta pubblica di scambio su Banco Bpm. Restano delle domande aperte dopo questa vicenda
Ieri sera a mercato chiuso Unicredit ha annunciato il ritiro dell’offerta per Banco Bpm perché la condizione relativa all’autorizzazione Golden Power non è stata soddisfatta. Unicredit nel comunicato stampa ha spiegato che il processo di offerta è stato influenzato dalla clausola di Golden power, “insistentemente invocata dai vertici di Bpm, che ha impedito a UniCredit di dialogare con gli azionisti di Bom”.
Unicredit ha infine riconosciuto che nonostante i progressi compiuti con il Tar, la DG Comp dell’Unione europea e il Governo italiano, i tempi per una risoluzione definitiva della questione Golden power sarebbero andati oltre la scadenza dell’offerta e della sospensione decisa dalla Consob.
Con questa decisione si chiude, per ora, una saga iniziata a fine novembre 2024 proprio quando sembrava che si sarebbe andati verso nuovi tempi supplementari. Ieri pomeriggio, infatti, la Consob decideva di sospendere per 30 giorni l’Ops spostando la scadenza da oggi al 21/22 agosto. Sarebbe stata la seconda sospensione di 30 giorni dopo quella decisa a metà maggio. Secondo la Consob, il rinvio si rendeva necessario perché, parafrasiamo, la sentenza del Tar e le valutazioni della Commissione europea sull’esercizio del Golden power da parte Governo italiano davano luogo a uno scenario di tale incertezza da impedire al mercato di valutare l’offerta.
Nonostante l’assist della Consob Unicredit ha deciso però di ritirare l’offerta dando la colpa ai vertici di Bpm. Il processo, a ben vedere, ha incontrato innanzitutto l’opposizione del Governo italiano esplicitata con le prescrizioni imposte dal golden power. Ieri sera, dopo la decisione della Consob, Bloomberg svelava agli investitori che l’Esecutivo sarebbe stato intenzionato ad approvare un nuovo decreto con cui reimporre molte delle condizioni poste in quello originario.
Nel primo decreto si imponeva a Unicredit una serie di prescrizioni tra cui l’uscita dalla Russia, l’impegno a non ridurre per un periodo di cinque anni il rapporto impieghi/depositi praticato da Banco Bpm e Unicredit in Italia e il mantenimento del livello di portafoglio di project finance.
Con la conferma dei contenuti del primo decreto si sarebbe materializzato esattamente lo scenario evocato da Unicredit e cioè una fase di incertezza legata al Golden power che sarebbe potuta durare molto oltre qualsiasi proroga. Il cuore di questa vicenda è quindi l’opposizione del Governo italiano e l’impossibilità di risolvere in tempi brevi il conflitto di poteri tra Roma e Bruxelles.
Mentre in Italia sembra chiudersi questa saga, la Spagna incassa una procedura di infrazione dalla Commissione europea per aver impedito l’acquisizione di Sabadell da parte di Bbva; il Governo spagnolo del socialista Sanchez la osteggia per preoccupazioni del tutto simili a quelle del Governo italiano sul caso Unicredit e cioè preservare un sistema bancario che sia il più possibile in sintonia con imprese e famiglie.
Il Primo ministro tedesco, settimana scorsa, ha dichiarato che le modalità con cui Unicredit è intervenuta su Commerzbank sono “ostili e inaccettabili” e che l’istituto che emergerebbe sia un rischio per il mercato finanziario. Questa seconda valutazione non sarebbe in teoria di competenza del Governo tedesco ma delle istituzioni europee, a partire dalla Bce e dalla Commissione.
Il caso tedesco è interessante perché negli ultimi mesi la Germania ha unilateralmente violato, senza aspettare l’assenso delle istituzioni europee, sia le norme sui limiti al deficit sia quelle sul mercato unico garantendo alle proprie imprese aiuti di stato preclusi a quelle degli altri Paesi. In entrambi i casi si è preferito soprassedere perché si è ritenuto che l’urgenza del riarmo e quella di preservare il sistema industriale tedesco fossero incompatibili con i tempi e le regole dell’Europa.
L’Europa si trova in una fase critica stretta tra il conflitto con la Russia, la guerra commerciale con gli Stati Uniti e quella futura con la Cina. Queste tensioni si scaricano sui Paesi europei in modo asimmetrico perché le differenze tra Stati membri, economiche o energetiche, non sono equiparabili a quelle delle regioni o degli Stati di qualsiasi altro Paese. La crisi europea viene “risolta” da interventi dei singoli Paesi come dimostrano le decisioni del Governo tedesco, imposte all’Europa, piuttosto che le missioni diplomatiche spagnole in Cina.
Non c’è un singolo Paese europeo che voglia mettersi “nelle mani dell’Europa”, anzi il movimento è esattamente opposto per necessità e sopravvivenza prima ancora di considerazioni “ideologiche”. Il risparmio nell’attuale scenario è un bene scarso e strategico in un mondo che va verso un eccesso di domanda di risparmio.
La contraddizione tra mercato e Governi non è una vicenda italiana ma globale. Nessuno direbbe niente se l’Europa imponesse alle sue banche di dedicare il 10% dei propri impieghi al settore delle rinnovabili o, come sembra più probabile oggi, a quello degli armamenti. Settimana scorsa il Governo americano è diventato azionista dell’unica società americana di terre rare con un intervento che è stato giudicato simile a quelli del Governo cinese.
La vicenda Unicredit-Banco Bpm si deve quindi leggere in un’ottica politica. La questione non è tanto su quale sia lo spazio del mercato e quale quello del Governo; questo è un tema che si è risolto nel 2022 a favore dei Governi. La questione è se questo potere sia del Governo italiano, spagnolo o tedesco o di quello “europeo” e in seconda battuta se sia del Governo tedesco in Germania e invece di Bruxelles a Roma o a Madrid.
Il tema è esistenziale perché le sfide che montano si scaricano sui singoli Paesi in modo molto diverso e l’Europa, quando la crisi morde, non ha mai dato prova né di particolare rapidità e nemmeno di grande solidarietà.
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