Venezia, attività cinesi “apri e chiudi” per non pagare tasse/ Evasi 2 miliardi di €

- Alessandro Nidi

Le attività cinesi aprono e chiudono in un batter d'occhio a Venezia, che, ad oggi, ne conta 850: ecco il perché di questo fenomeno commerciale

Venezia CanalGrande Pixabay1280 640x300 Foto di Gerhard G. da Pixabay

In tempi di pandemia di Coronavirus, anche il mondo del commercio affronta un periodo di estrema difficoltà e neppure la città di Venezia è immune a tale, impronosticabile destino. Tuttavia, la Serenissima non si aspettava probabilmente di subire una vera e propria invasione di attività… cinesi: sì, perché come testimonia il servizio giornalistico e televisivo realizzato dalla redazione di “Fuori dal Coro” e andato in onda nella puntata trasmessa nella serata di ieri, martedì 9 febbraio 2021, l’ex Repubblica marinara è finita letteralmente nella morsa dei negozianti provenienti dal Paese del Dragone.

Perché tutto questo interesse improvviso da parte di persone che talvolta acquistano la propria attività a scatola chiusa, risiedendo addirittura ancora in Cina? A fornire la risposta è stato il generale Giovanni Mainolfi, comandante della Guardia di Finanza del Veneto: “Il numero delle partite IVA cinesi aperte nel periodo di lockdown è doppio rispetto a quello delle partite IVA chiuse. Si tratta di un banalissimo trucco che serve per non pagare le tasse. Un giochino che è costato in dieci anni alle casse dell’erario quasi 2 miliardi di euro”.

VENEZIA INVASA DA ATTIVITÀ CINESI: IL COMUNE DIFENDE LA TRADIZIONE

Venezia

, insomma, si trova costretta a “difendersi” da quello che può essere definito un autentico assalto da parte dei commercianti cinesi. Come spiegato dall’assessore Sebastiano Costalonga, sono 850 le attività cinesi presenti nella Serenissima e che cercano di aprire proprio nel centro cittadino, perché è lì che si trova il guadagno. Di fatto, aprono e chiudono alla velocità della luce, solitamente prima che sia trascorso un anno intero; così facendo, non pagano tasse e contributi in Italia e i soldi guadagnati finiscono direttamente nel loro Paese d’origine. Lo fanno in molti, ma c’è anche chi continua a prendersi gioco da tempo dei finanzieri veneti, come un imprenditore, il cui nome non è stato menzionato, che ha aperto e chiuso i propri negozi a Venezia per 16 volte. Addirittura, il 51% delle attività cinesi presenti nell’Amsterdam italiana (una su due, dunque) dichiara un reddito pari a zero. Urge una contromisura e il tessuto commerciale locale si sta già muovendo, mediante un accordo tra negozianti e proprietari teso ad abbassare il costo degli affitti: “Quest’iniziativa – ha aggiunto l’assessore Costalonga – serve per sancire un patto, mantenendo in vita le attività storiche veneziane. Il cuore della città non sarà mai cinese finché ci sarò io”.

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