VISTO DA SINISTRA/ La Nato entra nel Pd ma Letta ha contro Delrio e Schlein

- Gennaro da Varzi

L'emergenza in Ucraina induce la Nato a prorogare Stoltenberg: Enrico Letta per ora deve rinunciare. Ma la guerra apre un fronte nel Pd

enricoletta 9 lapresse1280 640x300 Enrico Letta (LaPresse)

Anche il Pd ha rischiato in queste ore di subire una grave perdita in conseguenza della guerra in Ucraina. La notizia non ha avuto il risalto che meritava, ma è ugualmente rimbalzata tra gli addetti ai lavori. Prima del vertice Nato previsto per domani, nei giorni scorsi si era fatta sempre più insistente la voce di una imminente nomina di Enrico Letta a segretario generale dell’Alleanza atlantica. La nomina avrebbe avuto come conseguenza quella di dover lasciare la carica di segretario del Pd ed ogni altro incarico nazionale. D’accordo sul suo nome i principali leader europei, a cominciare da Macron, e d’accordo anche gli americani.

È evidente che per Enrico Letta stava per determinarsi una convergenza astrale favorevole più unica che rara. In pochi anni sono cambiati i leader dei principali Paesi e dopo un lungo periodo di dominio delle destre sovraniste il vento è cambiato dappertutto, in America e in Europa. Non solo l’elezione di Biden, anche la Germania ha cambiato governo e dopo 17 anni l’Spd è tornata a guidare l’esecutivo. La stessa Nato, ormai considerata da molti un vecchio arnese a fine corsa, ha ritrovato nuove motivazioni, grazie a Putin e al bisogno crescente di protezione dei Paesi che da poco hanno ottenuto l’ammissione.

Letta ha da subito rappresentato in queste settimane la posizione più filo-americana e atlantista espressa da un leader europeo. Nessun dubbio sul condannare l’aggressione russa, su come comportarsi a sostegno della resistenza ucraina, chiedendo sanzioni sempre più severe e spingendo per primo per l’invio di armi alla resistenza. La sua netta presa di posizione ha fatto molto bene al Pd, che ha raccolto nei sondaggi ulteriori segnali di crescita, diventando così il primo partito italiano. E a pensare che solo un anno fa l’improvvisa diserzione di Zingaretti aveva spinto il Pd sull’orlo del disfacimento. Ma ha fatto molto bene anche al prestigio di Letta stesso, unico leader italiano (a questo punto dopo solo Mattarella e Draghi) a poter contare su un ampio credito internazionale.

Non è che in casa Pd l’esplosione del conflitto non abbia come al solito aperto problemi. Il più serio si sta svelando in queste ore, e riguarda le sibilline minacce arrivate da Mosca nei confronti del ministro degli Esteri, il mite Lorenzo Guerini. Tutto rimanda ai difficili giorni del diffondersi della pandemia in Italia e ad un singolare quanto inspiegabile dispiegamento di forze militari russe nei pressi di Bergamo. Emergono oggi dettagli inquietanti, tentativi di trasformare gli aiuti sanitari in un subdola azione di “intelligence” sul suolo italiano, tensioni tenute nascoste che erano emerse durante la verifica dei convogli russi da parte delle autorità italiane.

Ma non sono neanche sfuggite le prese di posizione dell’ala “pacifista” del partito, sempre più insofferente verso le posizioni del segretario. Ha sorpreso la presa di distanza di Graziano Delrio, fino a pochi mesi fa capogruppo alla Camera. Più prevedibili le posizioni della sinistra storica del partito, che però stavolta si è affidata ad un nuovo volto per far sentire la propria voce. È infatti emersa in queste settimane una nuova leadership interna al Pd intorno ad Elly Schlein, la giovane vice-presidente della regione Emilia-Romagna. Netto il rifiuto da parte sua ad accettare senza discutere la svolta a favore delle nuove spese militari, della difesa unica europea, dell’escalation verso una nuova guerra fredda.

La decisione dei capi della Nato di prorogare il mandato di Jens Stoltenberg, il segretario generale uscente, fino al dicembre del 2023, ha tolto al Pd il difficile dilemma di trovare un nuovo segretario alla vigilia delle elezioni politiche del prossimo anno. Ma è bastato paventarne il rischio per far riemergere il drammatico problema di carenza di leadership. Nomi non ne sono circolati, ma non è difficile dedurre che non sono circolati anche perché non ce ne sono.

In questo contesto la sinistra interna si trova di fronte ad una novità e non sono pochi quelli che immaginano di poter contare su una candidatura di una giovane donna agguerrita come la Schein.

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