Nulla di fatto negli incontri UE-Cina. Ora Bruxelles, pressata anche dagli USA, potrebbe pensare al mercato interno. Difficile il recupero sulle terre rare

L’incontro Von der Leyen-Xi Jinping a Pechino non ha prodotto granché. La UE, d’altra parte, ha visto aumentare lo squilibrio commerciale fino a 300 miliardi e non ha grandi possibilità di cambiare la situazione, tanto più che, come il resto del mondo, dipende dai cinesi quanto alle terre rare.

Per l’Europa, stretta fra le pressioni di USA e Cina, l’unica via d’uscita, spiega Giuliano Noci, prorettore del Polo territoriale cinese del Politecnico di Milano, sarebbe quella di potenziare il mercato interno, cominciando ad agire su tutti gli ostacoli che impediscono gli scambi tra i Paesi europei, a livello inferiore rispetto a quelli degli Stati americani tra di loro.



Per recuperare il tempo perduto sulle terre rare, invece, bisogna mettere in conto di inquinare: la loro raffinazione pone problemi dal punto di vista ambientale.

Ue e Cina si sono incontrate e Von der Leyen ha parlato della necessità di ripianare lo squilibrio commerciale che favorisce Pechino. Ma quali sono i rapporti (e i problemi) tra le parti?



La situazione in questi mesi è stata ondivaga: a fronte delle “trumpate” del Liberation Day la Von der Leyen aveva cambiato postura, cominciando a dire, soprattutto a maggio, che era importante riprendere il dialogo con la Cina. Poi due fattori le hanno fatto cambiare prospettiva: il primo è che la Cina continua a sostenere la Russia, mentre probabilmente Bruxelles sperava che ci fosse un’opera di moral suasion da parte di Pechino nei confronti di Putin.

E infatti la UE ha imposto sanzioni a due banche cinesi, accusate di sostenere impropriamente la Russia. Il secondo elemento è che sono arrivati i dati dell’interscambio commerciale Europa-Cina: l’export cinese verso l’Europa è aumentato del 7% nel primo semestre, mentre l’import cinese dal Vecchio continente si è ridotto del 6%. Per questo l’Unione Europea dice che non c’è reciprocità.



La presidente della Commissione UE ha parlato di uno squilibrio commerciale di 300 miliardi: si può ridurre?

Lo squilibrio si è amplificato, era già grande e adesso è aumentato di nuovo. Il tema però, a mio modo di vedere, è un po’ più ampio. Da un lato l’Europa prende sberle da Washington, dall’altro non abbozza sulla Cina; se fossi la Von der Leyen direi che occorre lavorare moltissimo per eliminare i dazi interni. Siamo un continente costretto a esportare perché internamente scambia poco: ci sono 100 milioni di persone in più degli americani che però scambiano molto meno dei 50 Stati USA.

Gli Stati Uniti, inoltre, introdurranno una penalizzazione di fatto del 30%: 15% come probabile ticket d’ingresso e 15% come svalutazione del dollaro. A questo punto cercherei di trovare sorgenti di crescita interna. Bisognerebbe eliminare i dazi interni. Il Fondo Monetario Internazionale a dicembre 2024 ha evidenziato che le burocrazie e i fattori di ostacolo dentro l’Europa equivalgono a dazi e a tariffe del 44% sui prodotti fisici e del 110% sui servizi.

Quindi cosa bisogna fare?

Bisogna lavorare per eliminare tutti questi elementi di frizione interni. Questa deve essere la priorità assoluta. L’Europa deve riscoprire il mercato interno, che si è autocastrato con tutte le differenze che ci sono dal punto di vista dell’arbitraggio fiscale e delle normative nazionali. Il messaggio è: cominciamo a lavarci i panni sporchi in casa. Siamo stati costretti a esportare molto per la debolezza dei nostri scambi interni, ma siamo anche schiacciati tra due vasi di ferro che ci comprimono: a questo punto dobbiamo trovare sfogo interno, perché fuori non c’è.

Ma con la Cina cosa possiamo ottenere?

Se non ci compattiamo con la Cina non possiamo fare niente. Il riequilibrio della bilancia commerciale sarebbe possibile se l’Europa fosse unita. Ma se Macron comincia ad andare a Pechino da solo e Merz fa lo stesso non ne veniamo a capo: se si muovono i singoli, per quanto possano confrontarsi con i cinesi, vengono schiacciati uno a uno. La Von der Leyen quando va in Cina alla fine non rappresenta nessuno.

Quanto pesa la questione delle terre rare, di cui i cinesi in pratica hanno il monopolio?

Anche gli USA su questo tema hanno dovuto cedere. Per recuperare terreno all’Europa servirebbe un livello diverso di accettazione dell’inquinamento: raffinare terre rare inquina tantissimo. Non è solo una questione di denaro da investire, ma di inquinamento da mettere in conto.

In questo senso siamo bloccati dal Green Deal?

Non dico questo, però nessun pasto è gratis, e produrre terre rare è una delle operazioni più inquinanti che esista al mondo. La Cina lo fa perché non si cura delle implicazioni ambientali: le hanno fatto fare il lavoro sporco e adesso ha un vantaggio pazzesco, c’è una distanza difficile da colmare.

Dall’incontro con la Cina, quindi la UE non ha ricavato niente?

Nulla, è già finito. Xi Jinping aveva già ridotto le giornate da due a una, quasi per dire di non perdere tempo. Anche perché, appunto, la Von der Leyen ha cambiato completamente postura nelle ultime settimane.

C’è una dichiarazione in cui si parla di grossa collaborazione sulle tecnologie ambientali, che vuol dire peraltro che gli europei in questo campo si devono rivolgere ai cinesi perché non ci sono alternative. Si parla di un dialogo più approfondito dal punto di vista commerciale, che non vuol dire niente.

Von der Leyen cosa dovrebbe fare?

I nostri prodotti saranno il 30% più costosi negli USA, con i cinesi le cose non vanno meglio, mi affretterei a firmare accordi col Mercosur, col Giappone, e poi lavorerei sul mercato interno.

(Paolo Rossetti)

 

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