DJ FABO/ Giovanna De Ponti, malata di Sla: “non sono prigioniera di sondino e paresi”

- La Redazione

Dj Fabo, Giovanna De Ponti: malata di Sla, racconta la sua esistenza "non sono prigioniera di sondino e paresi". Il senso della vita e il pensiero del suicidio che contrasta con la libertà

djfabo1R439 Dj Fabo (Fabiano Antoniani)

Una storia simile a quella di Dj Fabo, una condizione straziante e drammatica che però getta una luca diversa rispetto a quanto stiamo assistendo in questi giorni tristi e con purtroppo anche molte polemiche. Un principio che vale più della vita o una vita che viene testimoniata anche nel buio più profondo? Un dilemma che viene risolto nella testimonianza di Giovanna De Ponti, una donna da 9 anni affetta di Sla, paralizzata da 6, oggi intervistata da La Stampa per cercare non tanto di commentare la storia di Dj Fabo ma di raccontare la sua. «Oggi assistita da personale specialistico e dai suoi 6 figli Giovanna De Ponti è a letto immobilizzata. Nel 2012 è stata tracheotomizzata. Oggi si nutre con la Peg, il sondino gastrico. Dipende dalle macchine anche per il respiro. Fino a 3 anni fa utilizzava un computer a comando ottico per poter scrivere. Oggi comunica solo attraverso una tabella che si chiama Etran: una lastra di plexiglas con le parole scritte sopra. Chi sta dall’altra parte della lastra intuisce il suo sguardo che si ferma su una lettera», racconta il collega de La Stampa che intervista la coraggiosa Giovanna che debolmente scrive. « Sapevo ciò a cui andavo incontro. Piano piano però ho cominciato a capire che occorre scegliere anche ciò che non hai scelto. Penso che Dj Fabo abbia agito per quello che la sua libertà poteva comprendere. La nostra libertà è infatti imperfetta. Cioè noi confondiamo l’essere liberi con il fare ciò che si vuole. Forse decidere di parlare in pubblico della sua scelta ha portato la cosa ad una eccessiva spettacolarizzazione», afferma con forza la donna affetta da Sla.

Una “paradossale” voglia di vita, un desiderio di compimento nonostante abbia perso tanto, quasi tutto della vita che prima conduceva normalmente. «Una volta un amico mi ha chiesto cosa volesse ancora Dio da me. Io gli risposi che desiderava che gli volessi più bene. Il segreto sta tutto qui. Ho sempre pensato che Gesù non fa niente contro di noi. E quindi tutto quello che ci succede è solo un bene. Io prego Gesù. A volte di guarirmi a altre di portarmi via. Accadde di notte quando sono sola e non ce la faccio a dormire. Ma al mattino quando mi sveglio penso che sia bello e lo ringrazio di essere ancora viva». Una vita che non è semplice perché c’è la fede che “sistema tutto” ma che viene vissuta e desiderata come più pienamente umana proprio perché dipendente da un bene che lei non ha scelto ma a cui ha aderito e aderisce tutti i giorni tramite i suoi 6 figli e i suoi 8 nipoti. «Non ho mai pensato di togliermi la vita. È un principio religioso per me irrinunciabile. Stiamo attraversando un cambiamento d’epoca. La gente è sempre più sola. Non ci sono più momenti di aggregazione. Non so dire se una legge risolve il problema». Ma se tutti ma proprio tutti sono convinti che 12 anni di carcere per gli accompagnatori sono un’esagerazione, per lei non è così: «Sono gente che aiutano le persone a morire…». Una esistenza che vale più di un principio – libertà o autonomia, vita o morte – , esistenza appunto “qualcosa che esiste” nonostante tutto il dramma e proprio “attraverso” quel dramma così misterioso… (Niccolò Magnani)





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