FINANZA E POLITICA/ Se Milano (ri)perde l’aereo

- Gianni Credit

Emirates ha scelto Milano come tappa intermedia dei suoi voli tra New York e Dubai. Da questo fatto parte l’analisi di GIANNI CREDIT che riguarda tutto il sistema-Paese

aereo_emirates_aeroportoR439 Infophoto

È probabile che alcuni dei visitatori del Salone del Mobile 2014 – che secondo la prima pagina de Il Corriere della Sera ha segnato “la rinascita di Milano” – siano giunti a Malpensa con i voli EK205 ed EK206 di Emirates. Il primo parte da Dubai ogni giorno alle 9.00 del mattino locali e atterra a Milano alle 13.30. Il Boeing 777 riparte alle 16.00 per New York, dove giunge poco prima delle 19.00 locali. Il volo gemello decolla dal JFK alle 22.20 puntando nuovamente su Milano (11.30 del mattino successivo) e facendo poi rotta definitiva sull’hub affacciato sul Golfo.

È un servizio che Emirates ha inaugurato lo scorso autunno, con investimenti importanti in campagne pubblicitarie sui “media” italiani e allestendo a Malpensa una “lounge” che vanta gli stessi standard di quelle aperte nei principali scali raggiunti sul pianeta. L’iniziativa ha subito incontrato una buona risposta commerciale: il rapporto prezzo/qualità del servizio è apparso più che competitivo nel panorama d’offerta (al consenso aderisce anche chi scrive questa nota). Colpisce subito favorevolmente l’orario: che rende disponibile l’intera mattina a Milano per chi poi vola a New York; e l’intera giornata nella “Grande Mela” per chi rientra. Proprio attendendo il rientro, al terminal 4 del JFK, si è colpiti da un’altra evidenza: EK206 è in realtà il volo-bis dell’EK202, che parte quaranta minuti dopo per una lunga no-stop verso Dubai, utilizzando un gigantesco A380 quasi sempre pieno. Scorrendo la rivista di bordo si scopre infine che l’EK206 è per alcuni versi unico: Emirates ha scelto – almeno per ora – solo Milano per questo “1 stop” strutturato fra New York e Dubai. Perché?

La prima risposta può apparire banale: nel 2020 Dubai succederà a Milano come città ospite dell’Expo. Ma sarebbe semplicistico pensare a un semplice investimento d’immagine: Emirates – che è già “main sponsor” del Milan – sta chiaramente investendo in via diretta sull’Expo 2015 e su Milano, immaginando di poterne ottenere ritorni economici a breve e a medio termine. Per chi andrà o verrà fra Dubai e New York nel 2015 nei sei mesi di Expo aperto, non sarà forse un’attrattiva sostare 24 ore a Milano invece di restare 13 ore filate in aereo? Arrivando a Malpensa da Dubai alle 13.30 o da New York alle 11.30 potrà raggiungere direttamente la piattaforma dell’Expo (o lo stesso Salone del Mobile o quello del Ciclo e Motociclo, ecc.) e darci un’occhiata; poi potrà dirigersi in un albergo del centro, magari spendere una sera alla Scala o a San Siro; e la mattina dopo farà shopping nel Quadrilatero. E poi ripartirà per un più comodo viaggio di sei-sette ore verso la destinazione finale.

Se l’Italia fosse un Paese normale – come lo è oggi un Emirato del Golfo, impegnato nella ricerca di competitività globale al di là della rendita petrolifera e degli investimenti immobiliari e finanziari – questi semplici percorsi strategici sarebbero stati pensati e realizzati per tempo da imprese italiane appoggiate da politiche pubbliche nazionali, volte a produrre valore aggiunto (Pil) italiano.

La prima di queste imprese avrebbe dovuto essere Alitalia, che invece proprio in questo giorni sta consegnando il proprio fallimento a Etihad, la compagnia di Abu Dhabi, cugina di Emirates. Giovedì sera il Ceo di Etihad, James Hogan, è stato ricevuto per l’ultimo via libera dal premier Matteo Renzi: quest’ultimo in partenza per Milano, per tuffarsi nel bagno di folla del Salone del Mobile e girare fra i cantieri dell’Expo. Quasi negli stessi minuti, intanto, il Tar del Lazio ha annunciato di aver accolto un ricorso dell’Assoaereo (capitanata da Alitalia) che giudicava “illegali” i voli EK205/206 in quanto gestiti da un operatore non Ue.

Vorremmo pensare che la pensata dell’oscuro magistrato amministrativo capitolino rappresenti un lesto favore fatto ai nuovi padroni arabi della compagnia della Magliana, abbarbicata attorno a Fiumicino. Ma temiamo di no. Temiamo che i tempi e modi rispondano alla stessa degenerazione “di sistema” che ha portato in un bisticcio umorale fra “vacche sacre” della Procura di Milano ad alcuni arresti “d’occasione” in zona Expo: catalogati – anche da alcuni grandi giornali di Milano – alla solita voce “c’è del marcio in Lombardia”. Salvo che pochi giorni dopo quella Lombardia lì – quella che piace a Renzi anche se non l’ha fatta lui; quella che piace a Emirates coi soldi sul tavolo di Malpensa – inventa un evento che non puzza affatto e invece profuma di ripresa con intensità inattesa e insperata.

Certo, per qualcuno l’aria di Milano resta irrespirabile: ad esempio, per l’amministratore delegato di Mediobanca, Alberto Nagel. Nel “miglio quadrato” meneghino si sussurra che andrà lui personalmente a guidare la nuova piattaforma di “corporate e investment banking” progettata nella City londinese dall’istituto che fu di Enrico Cuccia. Ma come dargli torto? Il successore di Cuccia e Vincenzo Maranghi è da due anni sotto indagine presso la Procura di Milano per l’ultra-controversa vicenda del presunto “papello” rilasciato alla famiglia Ligresti. Come fa un banchiere d’affari – per la cronaca: nato a Milano, laureato in Bocconi e cresciuto in Mediobanca fino ad approdarne al vertice – a fare il suo lavoro a Milano se sul suo biglietto da visita c’è scritto “fine indagine mai”?





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