SCUOLA/ Perché lo Stato dà la parità con la destra e la toglie con la sinistra?

- Anna Maria Poggi

ANNAMARIA POGGI mette in luce il paradosso della parità scolastica in Italia: regole stringenti per le scuole non statali, ma finanziamenti facoltativi. Secondo di due articoli

scuola_ministero1R400 Foto: Imagoeconomica

Pubblichiamo la seconda parte dell’articolo di Annamaria Poggi dedicato all’attuazione della parità scolastica in Italia. La prima parte è uscita ieri, martedì 12 ottobre.

Si potrebbe obiettare che così facendo si deroga la Costituzione. Probabilmente così è; ma ciò non deve meravigliare. È quanto è già accaduto per l’art. 39 della Costituzione, che obbliga la registrazione (mai avvenuta) dei sindacati quale condizione per la stipulazione dei contratti collettivi di lavoro. Eppure mai nessuno ha messo in dubbio che tali contratti valgano erga omnes, pur in assenza delle condizioni previste dalla Costituzione. La contestualizzazione storica della regola «senza oneri per lo Stato» è, dunque, quasi inevitabile.

3. L’attuazione legislativa dell’art. 33. Prima fase: il mantenimento in vita delle norme statali di sovvenzionamento

Ed in effetti è ciò che è accaduto. Nell’immediato dopoguerra, la diffusione della scuola, l’ampliamento della scolarità, il prioritario obiettivo di alfabetizzazione potevano giustificare (e giustificarono) in un continuum con il passato, un intervento forte dello Stato e potevano far ritenere l’impegno statale nell’istruzione, quantomeno per l’ampiezza dei mezzi da impiegare, non delegabile, ma da affrontare in prima persona e in modo unitario su tutto il territorio nazionale. In questa fase, tuttavia, non solo non vengono abrogate le disposizioni precostituzionali che prevedono ipotesi particolari di sovvenzioni alle scuole non statali, ma, anzi, dopo l’entrata in vigore della Costituzione, le annuali leggi di bilancio dello Stato hanno stanziato fondi per la scuola non statale materna, elementare sussidiata e convenzionata, media inferiore, magistrale, universitaria legalmente riconosciuta, e per le scuole non statali all’estero.

Si tratta di norme tutte poi inglobate nel testo unico del 1994, tutt’ora in vigore. Le più significative: Art. 339 – Sussidi alle scuole materne non statali: «Alle scuole materne non statali che accolgono gratuitamente alunni di disagiate condizioni economiche o che somministrano ad essi la refezione scolastica gratuita, il Ministero della pubblica istruzione, tenendo conto del numero degli alunni accolti e delle condizioni economiche e sociali della zona, può corrispondere, premi, assegni, sussidi…»;
Art. 334 – Scuole elementari parificate: «Sono scuole parificate quelle gestite da enti o associazioni aventi personalità giuridica e che siano riconosciute ad ogni effetto legale mediante apposita convenzione» (la convenzione di parifica contiene la previsione del contributo a carico del bilancio dello Stato);
Art. 348 – Scuole elementari sussidiate: «Sono scuole sussidiate quelle aperte da privati, da enti o associazioni, con l’autorizzazione del provveditore agli studi, nelle località dove non esiste alcun’altra scuola statale o parificata. Le scuole di cui al comma 1 sono mantenute parzialmente con il sussidio dello Stato, corrisposto in forma di premio ai docenti»;

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Art. 56 – Istituzione delle scuole medie: «Nelle località nelle quali per ragioni topografiche e per mancanza di idonee comunicazioni, non possano funzionare corsi o classi distaccati ne possa organizzarsi il trasporto gratuito degli alunni, il Ministero della pubblica istruzione… promuove iniziative atte a consentire il compimento dell’istruzione media obbligatoria….»;
Art. 633 – Concorso al mantenimento delle scuole non statali all’estero: «Al mantenimento delle scuole italiane all’estero che dipendono da enti, da associazioni o da privati il Ministero degli affari esteri può contribuire sia concedendo sussidi in denaro, sia dotandole di libri e di materiale didattico sia destinandovi docenti statali…».

In questa prima fase, in sostanza, per il legislatore ordinario, la formula «senza oneri per lo Stato» o pone una regola che ammette eccezioni (non si finanzia la scuola non statale ma in alcuni casi si fa eccezione); o pone solo un divieto «tendenziale», dunque graduabile a seconda dei casi concreti e in concorso con altri valori costituzionali. Si potrebbe obiettare: ma come è possibile che la Costituzione ponga un divieto «tendenziale»? Anche qui è la storia di altre norme costituzionali nate sulla spinta di contingenze particolari e poi interpretate evolutivamente: il principio di unicità della giurisdizione fu la risposta al periodo fascista di proliferazione di giudici speciali, ma non ha potuto impedire lo sviluppo delle giurisdizioni previste come eccezioni, cioè quella amministrativa, contabile, militare, addirittura quella tributaria che non è neppure citata dalla Costituzione.

Tornando al nostro tema, dunque, la causa giustificativa comune ai vari tipi di interventi normativi sopra riportati non è la volontà di dare attuazione al principio del pluralismo scolastico, dell’effettività della libera scelta, dell’uguaglianza tra scuole statali e paritarie, piuttosto una sorta di remunerazione per la funzione di sostituzione o supplenza che in certi casi le scuole paritarie possono effettuare. Non a caso in questa prima fase il finanziamento è sempre «facoltativo» (lo Stato «può»), per casi particolari (la carenza di scuole, le scuole all’estero), non ordinario, di durata temporale e non stabile nel tempo.

4. Seconda fase: le riforme degli anni Novanta e la costruzione del sistema nazionale di istruzione

All’inizio degli anni Novanta inizia in Italia quel processo riformatore che tutti conosciamo e che investe numerosi settori dell’ordinamento: le privatizzazioni, la trasformazione dell’assetto delle banche, la riforma delle c.d. autonomie funzionali (Università, Camere di commercio) che ha il suo apice e la sua razionalizzazione nelle riforme Bassanini. In questo contesto, per il settore scuola, si apre una fase con caratteristiche nuove rispetto al periodo precedente.

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Due credo siano gli atti normativi significativi di un mutamento «culturale»: a) Il d.lgs. n. 112 del 1998 che, dando attuazione alla prima legge Bassanini (n. 59/19997) conferisce funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni e agli Enti locali. In esso trova spazio l’art. 138, comma 1, lett. E) con il quale vengono delegate alle Regioni le funzioni relative ai «contributi alle scuole non statali». Il che, mentre non abolisce o sostituisce i tipi di sussidi già previsti, pur tuttavia presuppone che, a valle, lo Stato (delegante) sia considerato titolare legittimo della funzione di contribuire alle scuole non statali; a monte che tale funzione non sia ritenuta incompatibile con il dettato costituzionale, avvalorando, quanto meno, la tesi dell’ammissibilità dei finanziamenti facoltativi.

b) Con la l. 62/2000 viene introdotto il concetto di sistema nazionale di istruzione e vengono specificati i requisiti che le scuole devono possedere per far parte del sistema nazionale di istruzione (tra cui: un progetto educativo in armonia con i principi della Costituzione; l’attestazione della titolarità della gestione e la pubblicità dei bilanci; l’istituzione di organi collegiali improntati alla partecipazione democratica; l’iscrizione alla scuola di tutti gli studenti i cui genitori ne facciano richiesta; l’inserimento di studenti con handicap; il possesso di un titolo di abilitazione da parte del personale docente; la stipulazione di contratti individuali di lavoro per il personale dirigente ed insegnante che rispettino i contratti collettivi di settore e, non ultimo, il divieto di rendere obbligatorie attività extra-curriculari che presuppongano o esigano l’adesione ad una determinata ideologia o confessione religiosa).

Con l’art. 1, comma 9 della legge sulla parità scolastica si dispone che «al fine di rendere effettivo il diritto allo studio e all’istruzione a tutti gli alunni delle scuole statali e paritarie… lo Stato adotta un piano straordinario di finanziamenti …da utilizzare a sostegno della spesa sostenuta e documentata dalle famiglie per l’istruzione mediante l’assegnazione di borse di studio di pari importo eventualmente differenziate per ordine e grado di istruzione».

Vi sono poi altre norme che dopo il 2000 assumono un certo valore. A partire dal 2001 il Fondo istituito con la legge n. 440/1997 per l’arricchimento e l’ampliamento dell’offerta formativa e per gli interventi perequativi viene utilizzato per finanziare anche i progetti presentati dalle scuole paritarie. Inoltre, a decorrere dal 2000 gli interventi stanziati per assicurare gli interventi di sostegno previsti dalla legge n. 104 del 1992 per le scuole che accolgono studenti con handicap si riferisce anche alle scuole paritarie. Si tratta di provvedimenti importanti, di cui il più rilevante è sicuramente la legge n. 62 la quale, tuttavia, nel suo impianto mostra un’intima contraddizione: al riconoscimento diretto della parità (scuole statali e non statali purché finalizzate al raggiungimento della funzione istruzione e sottoposte alle stesse regole) corrisponde un riconoscimento indiretto del finanziamento (attraverso le famiglie).

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Si tratta di una intima, latente, ma potente contraddizione: si pone la regola teorica dell’uguaglianza di regole (questo è il senso della paritarietà) tra istituzioni statali e non statali che si traduce in disuguaglianza nella modalità di finanziamento.

5. Terza fase : l’(in)attuazione della legge paritaria nel suo impianto complessivo

L’attuazione della legge n. 62 ha seguito lo stesso tragitto con l’introduzione di un’altra contraddizione rispetto alla regola della paritarietà: la facoltatività del finanziamento alle scuole non statali, nel senso che il provvedimento con cui si decide il finanziamento è frutto di decisione che si assume anno per anno, senza, garanzia di stabilità nel tempo. Annualmente attraverso decreto ministeriale si definiscono i criteri e parametri per l’assegnazione dei contributi alle paritarie e tale contraddizione si rileva subito dall’art. 1 di tali decreti in due norme : a) «i contributi sono erogati al fine di sostenere la funzione pubblica svolta dalle scuole paritarie nell’ambito del sistema nazionale di istruzione»; b) «il presente decreto definisce i criteri e i parametri per l’assegnazione dei contributi alle scuole paritarie per l’anno…».

 Attualmente, dunque, abbiamo un sistema che impone alle scuole non statali che chiedono di «entrare» nel sistema paritario una serie di regole piuttosto stringenti e prescrittive e, nel contempo, di anno in anno si decide se finanziarle e come.

6. Il «paradosso» costituzionale: un sistema paritario finanziato «facoltativamente»

Dal punto di vista del costituzionalista quanto appena ricostruito costituisce una sorta di paradosso costituzionale: un sistema paritario nelle regole di ingresso, ma impari in quelle di uscita. Ciò dovrebbe consigliare il legislatore a «completare» l’opera iniziata con la legge paritaria del 2000 attraverso la stabilizzazione nel tempo della regola della contribuzione alla scuola non statale.







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