SCUOLA/ La “buona scuola”? Più che di riforme, ha bisogno di uomini liberi

- La Redazione

La "buona scuola" non è solo un documento governativo, è una realtà che si mostrerà a Bologna il 18 ottobre, in occasione della Convention Scuola dell'associazione Diesse

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La “buona scuola” non è solo un documento governativo, è una realtà che si mostrerà a Bologna il 18 ottobre, in occasione della Convention Scuola dell’associazione Diesse. Ottocento iscritti, tra docenti e dirigenti; venti botteghe dell’insegnare; lezioni e relazioni in assemblea plenaria: questi i numeri e le dimensioni dell’evento. Ma c’è di più. La Convention, partecipata anche in un momento di crisi come quello che stiamo attraversando, dice di un bisogno diffuso di formazione e aggiornamento che tanti insegnanti sono disposti a pagare di tasca propria perché l’impegno cui si sottopongono è stato liberamente scelto e corrisponde alle ragioni per cui si è deciso di insegnare o di dirigere una scuola. 

Non è un caso che la Convention abbia come titolo: “Vivere nella scuola: una sfida alla libertà“. Manca forse la libertà nella scuola? Non sembrerebbe. Pare anzi il regno della libertà, dove dai ragazzi, ai genitori, agli educatori ciascuno fa più o meno quello che gli interessa. Si moltiplicano attività, uscite, corsi aggiuntivi che a volte non sembrano fare parte del tradizionale curricolo scolastico perché dettati dalla lettura creativa del contesto in cui la scuola si colloca: una determinata area sociale, la possibilità di sfruttare certe risorse anche se magre, la prospettiva del dialogo con altre realtà scolastiche, lavorative o universitarie. Niente di male in tutto questa “specie” di autonomia che anima molte scuole, mettendole a confronto con altre in cui tutto avviene in maniera ripetitiva e scontata. Eppure la libertà è una parola difficile da maneggiare; è come la vita: un po’ di vita non è sufficiente per vivere. Occorre che la libertà si esprima in tutte le sue potenzialità perché si possa sperimentare a pieno titolo. In altri termini, non esiste solo la libertà “da” certi condizionamenti del passato come, nella scuola, i programmi ingessati o le modalità di insegnamento stanche e ripetitive, magari sostituite dalla didattica aperta e dialogata. Affinché esista una esperienza di libertà bisogna introdurre anche la libertà “per”, cioè la consapevolezza dello scopo per cui si fanno le cose che si propongono. Probabilmente sta in questa differenza (“da”; “per”) la reale alternativa di fronte alla quale sono collocati tutti coloro che oggi vivono nella scuola. In qualche modo, infatti, tutti, o quasi tutti, tra i banchi in Italia cercano di fare qualcosa per rispondere a certe sollecitazioni degli alunni e delle famiglie. Si fa qualcosa, appunto, o nel peggiore dei casi ci si arrabatta più di prima. E ci sono i nuovi linguaggi. E ci sono le lim. E ci sono le lingue straniere. E ci sono la legalità, la Costituzione, il teatro e i nuovi diritti. E ci sono i nuovi disturbi dell’apprendimento. 

Da tutte le parti, o quasi, si nota come un rincorrere l’emergenza senza che ci si chieda per quale ragione educativa è bene introdurre in un determinato corso o lezione, una certa attività piuttosto che un’altra. Anche l’emergenza può diventare uno status. E la scuola è l’ambiente che di più corre il rischio di rendere stabile l’urgenza. 

Vivere nella scuola la libertà piena, cioè indirizzata a uno scopo, è certamente una sfida che implica tutta le persona che decide di assumere un tale compito. Implica che liberamente si trasmetta ad un altro, attraverso ciò che si insegna, il dono della libertà che si è ricevuto. Solo uomini liberi, cioè ricchi di una esperienza di senso che li appassiona a tutto, possono trasmettere la coscienza di uno scopo ai più giovani, aiutandoli a fare passi graduali nel cammino di introduzione alle molteplici sfumature del reale. 

Per tornare alla “buona scuola” (documento del governo), bisogna riconoscere che è certamente apprezzabile avere messo la scuola al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica. Occorre però anche chiedersi “perché” si vorrebbe una scuola che funzioni meglio. Che cosa ci si dovrebbe realizzare in una scuola più aperta, più ricca di strumenti e didatticamente più moderna, se non l’incontro più libero e consapevole tra esseri umani che trasmettono delle conoscenze e delle competenze attraverso il loro stesso essere, il loro entusiasmo per un particolare che è connesso al significato di tutto il reale?

Chi si recherà alla Convention di Diesse lo farà anche per riprendere questo profondo senso dell’essere liberi nella scuola perché coinvolti direttamente in una esperienza di libertà rispetto alla materie di insegnamento, ai colleghi, alle strutture, alle circostanze.

Una giornata, quella del 18 ottobre, che rappresenta un appuntamento sicuramente rilevante per chi sarà presente e per la scuola nel suo complesso. 


Consulta il programma su http://convegni.diesse.org 





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